Ogni tanto arrabbiarsi? No. Bisognerebbe arrabbiarsi sempre.
Brunetta in pensione.
L'Editoriale di Luigi Palamara
Ora tutta l’Italia – dal piccolo borgo della Sicilia ai palazzi di Milano – aspetta una sola cosa: le dimissioni di Renato Brunetta. Non perché sia un uomo cattivo, né perché abbia rubato: ma perché il suo atteggiamento è il simbolo di un sistema che ha perso il senso del limite, della misura, del dovere. Una brutta pagina in cui il dio denaro ha preso il sopravvento sul servire l’Italia, sulla responsabilità verso la collettività.
Brunetta occupa ruoli, incassa stipendi e prebende, si sposta tra incarichi e poltrone come un turista privilegiato nella propria città. Ma non serve più a nessuno. Non serve al CNEL, non serve al governo, non serve al popolo che paga le tasse. È giunto il momento che chi ha il potere – e la premier Giorgia Meloni ha ora l’occasione – intervenga con decisione: che lo mandi a casa, in pensione anticipata, lontano dalla politica e dai conti pubblici. Sarebbe un gesto che non ripaga del torto subito, ma almeno restituisce un po’ di dignità a un Paese che sembra averla smarrita.
Non possiamo più permetterci la retorica dei “rinuncio se mi fate notare l’errore”. La nobiltà, la vera responsabilità pubblica, si misura prima, non dopo. E chi non la possiede non deve occupare spazi che appartengono al servizio, non al privilegio.
Ogni tanto arrabbiarsi? No. Bisognerebbe arrabbiarsi sempre. Perché l’indignazione è l’unico antidoto contro la rassegnazione. E oggi l’Italia ha bisogno di rabbia lucida, di indignazione concreta, di segnali chiari: Brunetta a casa, e il messaggio che il dovere viene prima del denaro.
Luigi Palamara
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