Virgo Fidelis. La fedeltà che resta.
L'Editoriale di Luigi Palamara
Nelle nostre città, dove il tempo scorre con l’indifferenza delle cose consumate, ci sono giorni in cui una cerimonia rompe il silenzio consueto e ci richiama a un senso perduto di comunità. Così, ogni anno, la ricorrenza della Virgo Fidelis riporta alla memoria degli italiani l’esistenza di un vincolo antico, che non si è spezzato malgrado le stagioni tormentate del Paese.
La Virgo Fidelis non è soltanto la patrona dei Carabinieri. È una figura che sembra parlare a tutti noi, in un’Italia che talvolta si sente smarrita, come se avesse perduto la sua direzione. Quel titolo – “Vergine fedele” – rimanda a una virtù che non fa rumore, che non invoca clamori né applausi, ma che sostiene la trama nascosta delle vite e delle istituzioni. È la fedeltà dei gesti quotidiani, delle parole mantenute, della promessa che non cede al primo vento avverso.
A Reggio Calabria, città sospesa tra il mare e il destino, il 21 novembre assume sempre una luce particolare. Qui, dove la storia ha insegnato a convivere con la speranza e con l’ombra, la cerimonia dedicata alla Patrona dell’Arma sembra un atto dovuto alla coscienza civile. Nel raccoglimento della Cattedrale, guidata dal Vescovo Fortunato Morrone, si avverte che non si celebra una retorica, ma una memoria fatta di carne, di nomi, di storie interrotte. Accanto a lui, come massimo rappresentante dell’Arma dei Carabinieri in città, il Generale Cesario Totaro, Comandante Provinciale, offre la presenza solida e sobria dello Stato che non si limita a osservare, ma partecipa.
I Carabinieri, nella loro uniforme che porta i segni della tradizione, appaiono in quei momenti come figure di un’Italia essenziale, quella che non chiede altro se non di compiere il proprio dovere. Sono uomini e donne che spesso non conosciamo, che passano accanto a noi nelle strade senza annunciare la loro fatica. Ma nei loro sguardi si riconosce la stessa fierezza che animò i caduti di Culqualber: una fierezza triste, non ostentata, simile a quella dei contadini di un tempo che Alvaro descriveva come “custodi di una terra povera ma dignitosa”.
La Giornata dell’Orfano, che accompagna la ricorrenza, ricorda a tutti che la fedeltà al dovere non è una parola astratta: si misura nelle ferite delle famiglie, nei figli rimasti a cercare un volto nei racconti, nelle sedie vuote di case che non fanno rumore. È lì che la comunità è chiamata a farsi viva, a restituire almeno una parte di quella cura che i loro padri hanno dato al Paese.
Talvolta, nelle pieghe della cronaca quotidiana, si perde il valore di queste cose. Si guarda all’Arma come a un corpo dello Stato, e si dimentica che è, prima di tutto, un corpo di persone. Ma la Virgo Fidelis offre un invito discreto a guardare oltre la divisa, a scorgere la fragilità e la forza che convivono in chi sceglie di servire.
La fedeltà, oggi, è un bene che bisogna proteggere come si protegge il fuoco nelle notti di vento. E che in giornate come questa non si celebra un mito, ma la speranza che il Paese non perda ciò che lo tiene unito: la coscienza del sacrificio e la dignità di chi continua a credere in un’Italia migliore, anche quando sembra lontana.
E così, mentre le campane si spengono sul silenzio del Duomo, resta il senso di una promessa che non appartiene solo all’Arma, ma a tutti noi: essere fedeli non per obbligo, ma per scelta. Perché ci sono valori che durano oltre gli uomini, oltre le epoche, oltre il disincanto.
Sono valori che resistono nei secoli.
E, come ogni vera fedeltà, non chiedono altro che di essere riconosciuti.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria, 21 novembre 2025
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