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È morto Vittorio il papà di Alessandro Di Battista

È morto Vittorio il papà di Alessandro Di Battista

La coerenza dell’ultimo saluto. L’uomo che non chiese mai scusa d’essere se stesso

Editoriale di Luigi Palamara 
Ci sono uomini che, nel tempo dell’urlo, scelgono il silenzio. Uomini che, mentre il mondo applaude le maschere, restano fedeli al proprio volto. Vittorio Di Battista era uno di questi. Non un eroe da prima pagina, non un rivoluzionario con il pugno alzato, ma – come scrive il figlio Alessandro – “un uomo perbene”. E, oggi, questa parola dimenticata vale più di mille elogi.

Nel suo addio, Alessandro Di Battista non alza la voce. Non cerca la commozione facile, né si abbandona alla retorica da social. Racconta il padre con poche frasi affilate come un epitaffio antico: “Dannatamente coerente e straordinariamente noncurante del giudizio altrui”. Un ritratto che potrebbe appartenere a uno degli ultimi uomini liberi, di quelli che potrebbero definirsi “inadatti al potere, ma adatti alla vita”.

In una Repubblica in cui troppo spesso si misura il valore di un uomo con il metro della convenienza, sentire un figlio dire “è stato fedele a se stesso fino alla fine” è come sentire una campana che suona per ricordarci chi eravamo, e forse non siamo più.

E poi c’è il nodo in gola. Quel dolore muto, trattenuto, dignitoso. Non c’è pianto gridato, ma un passaggio del testimone: “Ho preso da lui tutto quello che andava preso e lo porterò sempre con me”. È questa la vera eredità. Non il patrimonio, ma la postura. Camminare dritti, anche con la schiena piegata dal dolore.

C’è un’Italia, in queste righe, che sopravvive sotto la cenere della cronaca. L’Italia dei medici che resistono “in condizioni che non si capisce come possano sopportare”. L’Italia del Dottor Giusti, “Medico vero”, che lavora con umanità e competenza e non pretende applausi. L’Italia che non urla, non posta, non si fotografa. Ma che cura, educa, resiste.

Questa non è solo la morte di un padre. È anche la prova che esiste ancora una linea di sangue e dignità che non si estingue. E che c'è chi, come Alessandro, ha il coraggio di riconoscerla, anche in mezzo al dolore.

Perché si può essere rivoluzionari a Roma, in Parlamento o in piazza. Ma ci vuole molto più coraggio per esserlo nel silenzio di un lutto. Ringraziando. Amando. Ricordando.

– Luigi Palamara 
Roma, 21 giugno 2025

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