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La Città sotto "ricatto" del rumore: quando la propaganda vuole sostituirsi alla giustizia

La Città sotto "ricatto" del rumore: quando la propaganda vuole sostituirsi alla giustizia
Editoriale di Luigi Palamara 

In un tempo in cui la parola ha perso il suo peso specifico e l’indignazione si è fatta spettacolo quotidiano, assistiamo a una nuova puntata di un teatro che nulla ha di nobile e molto di calcolato. La conferma della querela a carico del signor Veronese non è solo un atto legale, ma un segnale politico e culturale: la difesa della reputazione del Comune di Reggio Calabria e dei suoi amministratori non può essere lasciata ostaggio di voci, insinuazioni e proclami mediatici unilaterali.

Eppure, mentre la Giustizia inizia il suo cammino — lento ma sovrano — c'è chi ha fretta. Simone Veronese, spalleggiato senza esitazione da Nuccio Azzarà e dal Polo Civico, ha scelto la via del megafono, affidandosi a RTV per lanciare le sue “bordate” senza un minimo di contraddittorio, come se bastasse un microfono per riscrivere la realtà. Un metodo che dovrebbe inquietare più di quanto si finga di credere.

Il dato più sconcertante, tuttavia, è l’inversione dei ruoli: sembra quasi che sia il signor Veronese, e non le istituzioni democraticamente elette, a dettare l’agenda politica della città. Una suggestione pericolosa che rischia di travolgere ogni senso di misura. Se non si pone un limite a questa deriva, si finisce per annacquare anche le denunce più serie, affogandole nel chiasso e nel sospetto.

La querele sono state presentate. La palla ora è passata alla magistratura. Ed è lì, nelle aule di giustizia, che si accerterà chi ha torto e chi ha ragione. Non nei salotti televisivi né nei post infuocati sui social. Chi ha commesso illeciti — se ce ne sono — pagherà. Ma fino ad allora, pretendere sentenze politiche precoci è non solo scorretto, ma pericoloso per la tenuta stessa delle istituzioni.

Che cosa cerca, dunque, il signor Veronese? Che cosa vogliono Nuccio Azzarà e il Polo Civico di Eduardo Lamberti Castronuovo? Una verità giudiziaria o un processo mediatico? La città comincia a stancarsi. E con essa, molti cittadini che ancora credono nel diritto al silenzio della giustizia — quel silenzio severo, ma giusto, che non urla né applaude.

Tutto questo fumo — lo diciamo con fermezza — non illumina, ma acceca. E Reggio Calabria ha bisogno di luce, non di nebbia.

Ed è proprio in questa nebbia, creata ad arte, che si tenta di confondere i piani, alterare le priorità, mettere sotto accusa chi amministra senza che vi sia un capo d’imputazione formale, ma solo il sospetto insinuato fino a farlo sembrare verità. È il trionfo del sospetto come arma politica, e della sfiducia come strumento di consenso.

Ma la democrazia non si fonda sul sospetto, bensì sulle regole. E tra queste regole c’è quella — imprescindibile — dell’equilibrio tra accusa e difesa, tra libertà di critica e responsabilità della parola. La libertà, lo sapevano bene i grandi liberali, non è anarchia. È disciplina, è dovere, è rispetto delle istituzioni e della verità dei fatti.

Dunque, non si può accettare che un’intera città venga trascinata in un clima da stadio, in cui ogni gesto degli amministratori venga letto con pregiudizio, ogni parola fraintesa, ogni silenzio scambiato per colpa. Così non si costruisce nulla. Così si distrugge soltanto.

E allora chiediamoci con franchezza: questa “manfrina” — come l’ha chiamata qualcuno — dove vuole portarci? Non certo verso una maggiore trasparenza, perché la trasparenza non si urla, si pratica. Non verso la giustizia, perché la giustizia non si invoca a comando, ma si attende con rispetto.

È tempo che la politica, quella vera, torni a parlare con i cittadini in modo diretto, serio, senza intermediari faziosi né amplificatori interessati. È tempo che si lasci alla magistratura il compito di giudicare, alla stampa il compito di informare, e alla politica il compito — arduo ma nobile — di amministrare.

Altrimenti il rischio è uno solo: che la città resti prigioniera di un dibattito isterico e sterile, mentre i problemi reali — quelli veri, che toccano le famiglie, i giovani, i lavoratori — restano sepolti sotto la polvere dei proclami.

La giustizia, nel frattempo, lavora. In silenzio. Come ha sempre fatto. Come deve fare. Il resto è rumore di fondo. E noi, francamente, cominciamo a spegnere il volume.

Luigi Palamara

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