Il Ponte, la Corte dei Conti e l’Italia che non sa più obbedire alle regole
L’editoriale di Luigi Palamara
Oggi c’è un’Italia che costruisce e un’Italia che costruisce solo chiacchiere.
Un’Italia che lavora in silenzio e un’altra che parla di “fare” come fosse una formula magica.
La prima sa che il progresso non è velocità, ma metodo. La seconda crede che basti battere i pugni sul tavolo per cambiare il mondo.
È la differenza tra chi sa dove mettere le mani e chi sa solo dove mettere i manifesti.
La Corte dei Conti, con il suo parere sul Ponte sullo Stretto, ha fatto l’unico gesto sensato di questi anni: ha ricordato ai potenti che le regole non sono un fastidio, ma la spina dorsale dello Stato.
Un atto semplice, quasi burocratico — dire “ritirate quella delibera viziata” — è diventato un segno di coraggio.
Perché in questo Paese, dove tutti vogliono comandare e nessuno vuole rispondere, basta rispettare la legge per passare da eroi.
E allora sì, meno male che la Corte c’è.
Meno male che qualcuno ha ancora il coraggio di dire “no” a chi scambia il potere per onnipotenza.
Perché quando un ministro insulta un organo di garanzia, non è solo un episodio di maleducazione: è una picconata allo Stato.
E chi applaude a quella picconata, non ama il Ponte, ama solo se stesso.
Il guaio vero, però, è un altro: in Italia, anche quando la legge parla, nessuno ascolta.
La Corte dei Conti può mettere un “visto con riserva”, può inviare una nota al Parlamento. Ma poi? Poi niente. Tutto si perde nel pantano di quella formula ipocrita: “responsabilità politica”.
Traduzione: “non succede nulla”.
È la nostra specialità nazionale: violare le regole e cavarsela con un sorriso televisivo.
Abbiamo un Paese pieno di controllori senza poteri e governanti senza pudore.
Un Paese che ha costruito mille leggi e non ne rispetta una.
E così i diritti diventano favori, le leggi diventano consigli, la Costituzione diventa un alibi.
È il solito gioco: la regola vale solo finché non disturba. Quando disturba, si cambia la regola.
E poi ci stupiamo se le istituzioni perdono credibilità.
Chi ama davvero il Ponte — e io dico “ama”, perché certe opere devono nascere da una fede civile — dovrebbe essere il primo a pretendere che sia fatto nel rispetto della legge.
Perché un ponte costruito sulla sabbia dell’illegalità crolla prima ancora di essere inaugurato.
E non sarà un crollo di cemento, ma un crollo di fiducia, di dignità, di civiltà.
Il vero nemico del Ponte non è chi ne controlla i conti: è chi li trucca.
Non è la Corte dei Conti: è la presunzione di chi crede che governare significhi scavalcare.
E per utilizzare un pizzico di sarcasmo asciutto, diciamo che la Corte dei Conti ha salvato il Governo da sé stesso, impedendogli di affondare nell’arbitrio.
Il vero scandalo non è la lentezza dei giudici, ma la fretta dei politici: quella fretta che serve solo a coprire il vuoto del pensiero.
Io dico inoltre che non è questione di Ponte, è questione di dignità.
E la dignità, signori miei, non si costruisce con i decreti, ma con la coscienza.
In un Paese serio, la Corte dei Conti sarebbe un baluardo.
In Italia, è un fastidio.
E questo, più del Ponte, ci dice quanto siamo lontani dall’essere una Repubblica adulta.
Luigi Palamara
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Reggio Calabria 30 ottobre 2025
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