La lunga malattia della Calabria

La lunga malattia della Calabria
L'Editoriale di Luigi Palamara


Quindici anni. Un tempo in cui si nasce, si cresce, si studia, e qualcuno riesce persino a morire aspettando una TAC. Quindici anni di commissariamenti, di promesse, di “piani di rientro” che non rientravano mai, di primari senza reparto e reparti senza medici. Ora, il presidente Occhiuto annuncia che la Calabria “è pronta”. Pronta a cosa? A riprendersi in mano la sanità dopo averla lasciata marcire per un quindicennio sotto la tutela dello Stato?

“Gli italiani, quando parlano di normalità, intendono dire che torneranno a fare le stesse cose di prima, ma con un comunicato stampa in più.” Perché la parola “transizione” – così elegante, così neutra – è il vestito buono con cui si copre il corpo malato della burocrazia.

Eppure, non si può non riconoscere a Occhiuto una certa coerenza: si è fatto commissario di sé stesso, come un chirurgo che si opera allo specchio. Dice che è per “garantire la piena operatività della governance sanitaria”. Parole che odorano di PowerPoint, non di corsie d’ospedale. Perché la governance, in Calabria, non è mai mancata: mancavano i medici, i pronto soccorso, i letti, la dignità di ammalarsi senza sentirsi colpevoli.

“Governance? Ma di che parlate? Di tabelle, di riunioni, di decreti? La sanità non è un foglio excel, è la pelle della gente.” E la Calabria, quella pelle, l’ha vista spellarsi viva.

Ora, forse, davvero qualcosa sta cambiando. Forse no. Ma fino a quando i calabresi saranno costretti a salire su un treno per farsi curare a Roma o a Milano, nessuna transizione potrà dirsi compiuta. Il giorno in cui un paziente di Crotone potrà morire o guarire nella sua terra, con la stessa dignità di un lombardo, allora sì, potremo dire che il commissariamento è finito.

Fino ad allora, restiamo in osservazione.

Luigi Palamara
Calabria 28 ottobre 2025
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