Falcomatà, l’ultimo sorriso. Il PD lo sfiducia e Reggio resta senza rotta

Falcomatà, l’ultimo sorriso. Il PD lo sfiducia e Reggio resta senza rotta
L'Editoriale di Luigi Palamara 

A Reggio Calabria, ieri, è andato in scena uno di quelle mattinate che spiegano meglio di qualsiasi saggio perché la politica italiana, soprattutto al Sud, sembra spesso un eterno ritorno. La seduta del Consiglio è cominciata con quattro ore di ritardo — quattro ore di mormorii nei corridoi, di trattative strappate e ricucite, di telefoni che squillavano come in un pronto soccorso politico.
“Qui non si tratta di politica, ma di faide condominiali travestite da democrazia.”

Giuseppe Falcomatà è entrato in Aula con un sorriso gentile. Un sorriso che sapeva di resa più che di sfida. Aveva l’aria di uno che ha già capito il finale del film, ma resta seduto fino ai titoli di coda per buona educazione. In quel sorriso c’era il peso degli undici anni da sindaco, ma anche la rassegnazione di chi conosce bene i suoi compagni di viaggio.

Quando il PD ha tirato fuori il documento di dissenso, non c’era pathos, non c’era dolore: c’era il freddo metallo del tradimento politico. Quella lama che arriva sempre alle spalle, timbrata e protocollata.
Una sfiducia camuffata da riflessione.
Una resa spacciata per responsabilità.

I consiglieri che lo avevano accompagnato per anni hanno voltato le spalle al sindaco come si chiude una porta: senza rumore, ma definitivamente.
E mentre loro uscivano dall’Aula, uno dopo l’altro, il centrodestra guardava la scena con l’aria di chi pesca in un barile già vuoto.
Non serviva muovere un dito.
La maggioranza faceva tutto da sola.
Il PD è sempre bravissimo: quando non perde contro gli altri, perde contro se stesso.”

Poi Falcomatà ha parlato. Ha citato una canzone pop, quasi per rendere umano un momento che umano non lo era più da un pezzo.
È il coraggio di dire la verità:
che il sistema ti cambia, ti trascina, ti divora.
E che, a volte, l’unica dignità rimasta è uscire di scena senza sputi e senza urla.

«Questo viaggio per me giunge alla fine», ha detto.
E in quell’istante — lo ammetterebbero perfino i suoi avversari — non parlava il politico.
Parlava l’uomo.
Uno dei pochi che, nel bene o nel male, ci ha messo la faccia.

Il PD in coma profondo
Ma questa non è solo la caduta politica di un sindaco. È l’ennesimo fotogramma della lenta eutanasia del Partito Democratico calabrese. Tre sconfitte consecutive non sono bastate a produrre un sussulto, un congresso decente, una catena di comando credibile. Nulla. Solo il vuoto pneumatico di dirigenti silenziosi, comunicati anodini, riunioni convocate per non decidere.

I vertici regionali non parlano. Non indicano una rotta. Il PD cittadino e quello provinciale sono diventati l’ombra di se stessi, apparati sfilacciati che vivono di rituali interni più che di politica reale.

E così si arriva alla domanda più semplice e più crudele:
com’è possibile che un partito così diviso, così debole, così incapace di vincere ovunque, scelga di abbattere l’unico uomo che ha ancora un minimo di consenso, l’unico avamposto amministrativo che riesce a tenere, il Comune di Reggio Calabria?

La verità è scomoda, ma evidente:
si è voluto colpire Falcomatà come fosse una questione personale.
Un regolamento di conti interno, un atto di cannibalismo politico.
Il PD è diventato il cinismo incarnato: sceglie i suoi uomini migliori per demolirli. Li spinge in prima linea finché servono, poi li lascia soli davanti al plotone d’esecuzione.

E con la sparata di ieri in Consiglio Comunale, la città di Reggio e l’intera Città Metropolitana vengono consegnate al centrodestra su un vassoio d’argento.
Il centrodestra ringrazia?
Neanche per idea.
Con lo stesso cinismo osserva, ride sotto i baffi e sputtana una maggioranza che non ne azzecca una.

Il PD calabrese ha una caratteristica singolare: quando perde, perde; quando vince, perde lo stesso. È come se fosse biologicamente incapace di assumere la leadership. Si comporta come un partito convinto di dover fare la comparsa, non il protagonista. Abita il potere, ma non lo governa. Lo subisce.

E allora sì, qualcuno dovrebbe finalmente prendere questi pseudo-rivoluzionari, riportarli alla cuccia e spiegare loro che la guerra non è dentro il PD, ma altrove:
contro le destre che avanzano,
contro l’astensionismo che divora tutto,
contro una povertà politica che desertifica la partecipazione.

Qui, invece, si gioca alla roulette russa con l’unico sindaco, l’unica postazione, l’unica vittoria rimasta.

Ci vuole davvero tanto a capirlo?

A Reggio Calabria, pare di sì.

E il risultato è questo

Uno spettacolo malinconico, indegno, auto-distruttivo:
un sindaco che se ne va (al Consiglio Regionale) in punta di piedi
e un partito che continua a scavarsi la fossa da solo, così profondamente da non riuscire più a vedere nemmeno la luce.

Il viaggio di Falcomatà al Comune di Reggio Calabria finisce qui.
Quello del PD calabrese, invece,
è finito da tempo.
Solo che non ha ancora avuto il coraggio di accorgersene.

Luigi Palamara 
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 18 novembre 2025

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