Reggio chiama, Forza Italia risponde. La domenica in cui gli azzurri hanno rimesso il motore sul tavolo.

Reggio chiama, Forza Italia risponde

La domenica in cui gli azzurri hanno rimesso il motore sul tavolo.
L'Editoriale di Luigi Palamara 

Ci sono mattine in cui una città sembra svegliarsi tutta insieme, come se un filo teso tra i tetti, i lungomari e le colline chiamasse a raccolta chi ancora crede che la politica sia un mestiere serio e non un passatempo da social.
A Reggio Calabria, domenica 23 novembre 2025, è accaduto esattamente questo.

La Sala “F. Monteleone” del Consiglio regionale ha tremato – non per un terremoto dei tanti che questa terra conosce, ma per l’adunata congiunta dei tre Coordinamenti reggini di Forza Italia. Una riunione che qualcuno, con ragione, ha definito “inedita”, quasi un esperimento laboratoriale dentro un partito che si ritrova, oggi, più in salute di quanto molti – soprattutto i detrattori della prima ora – avrebbero scommesso.

C’era un popolo vero, non di cartone.
C’erano giovani con ancora il quaderno degli appunti e la voce che trema.
C’erano sindaci, consiglieri, dirigenti navigati con la pazienza dei capelli bianchi che hanno già visto tutto ma che, per qualche misteriosa ragione, continuano a tornare.
C’erano anche donne determinate e preparate, “il nuovo ordine naturale delle cose”.

La politica, quella seria, quella che non si dà in streaming e non si compra a colpi di like, è fatta così: di sedie piene, di interventi a tempo, di gente che aspetta il proprio turno per dire la sua senza il bisogno di demolire l’altro.
Una liturgia democratica che altrove sembra archeologia, ma che qui – nella punta estrema del Paese – diventa improvvisamente modernità.

Alle 9:30 hanno aperto i lavori Federico Milia, Antonino Maiolino, Giovanni Arruzzolo. Coordinamento Giovani, Grande Città, Provincia: tre pezzi di un ingranaggio che, almeno per un giorno, ha girato all’unisono come un motore rimesso a nuovo.
Poi, dalle 10, il dibattito:
45 interventi, tutti entro i tre minuti.
Tre ore piene di proposte, diagnosi, confessioni politiche e richiami all’ordine.
Reggio e la sua Area metropolitana: un cantiere, una speranza, una responsabilità.

E quando finalmente la parola passa al Coordinatore regionale Francesco Cannizzaro, la sala è ancora piena. Non vola una mosca. È l’ora del “capo” del leader, l’ora in cui la comunità si stringe attorno alla propria guida e misura il carattere di un partito non da ciò che promette, ma da come si riconosce in chi lo rappresenta.

La chiusura di Cannizzaro: una politica fatta di carne e sangue (e pasta che cuoce)

Cannizzaro sale al microfono con l’ironia disarmante degli uomini del Sud che hanno visto abbastanza da non aver più bisogno di impressionare nessuno.
Parla poco, dice molto.
E comincia così:

«In verità sono qui per dirvi tre cose.
La prima è che vi voglio veramente bene e nutro per voi un sentimento altissimo di gratitudine per tutto quello che fate, per tutto quello che rappresentate e anche per la giornata di oggi…»

Parole semplici, quasi familiari, di quelle che non hanno bisogno di retorica per essere credute.
Ringrazia tutti: sindaci, amministratori, dirigenti, giovani, donne. Ringrazia anche chi ha parlato dal palco, “arricchendo le menti”.
Poi affonda la seconda verità, quella che profuma di casa, di domenica, di normalità:

«…rinuncio all’intervento perché l’ora è tarda e siccome mia madre mi ha appena mandato un messaggio dicendo che sta per calare la pasta, non voglio incidenti nelle vostre famiglie.»

La platea ride, ma non c’è solo simpatia: c’è il senso di un politico che non si traveste, che resta figlio prima ancora che deputato. 
“Uno che non ha paura di essere umano”.

Ma in quel minuto restante, Cannizzaro cuce insieme un mosaico di riconoscimenti e responsabilità:
– Maiolino “guida il coordinamento della grande città come meglio non si può”;
– Milia “presente e futuro della classe dirigente”;
– Arruzzolo “amico sincero, eccezione che conferma la regola”.

E poi la scena più inaspettata:
un elogio appassionato ai giovani che non parlano per slogan ma per contenuti, alle donne che “hanno già superato gli uomini”, alla necessità di un partito che metta insieme energie fresche e saggezza antica.

Finché arriva il passaggio più politico, il più schietto:

«Forza Italia non è un taxi.
Chi pensa di essere classe dirigente e poi vota secondo le ambizioni personali, non ha capito nulla.
E se qualcuno non ha sostenuto il partito, è il momento di farlo uscire.»

Un colpo secco come una frustata.
E qui ci sta un mio personale applauso.

Poi lo sguardo torna alla città, alla coalizione, ai programmi già scritti e da scrivere. Con un’immagine potente:

“Oggi lanciamo il Manifesto per Reggio Calabria.”

Non un elenco di promesse, ma un contributo identitario alla coalizione, radicato nel manifesto liberale di Telese e nei valori fondativi del partito: lavoro, responsabilità, libertà, centralità della persona.

Infine, un saluto che sa di futuro:

– gli auguri al vicepresidente Giacomo crinò;
– il saluto al presidente del Consiglio Regionale della Calabria Salvatore Cirillo;
– il richiamo ai giovani che devono diventare classe dirigente per davvero, non per decorazione.
E una conclusione che profuma di appartenenza e di battaglia:

«Viva Reggio, viva la provincia di Reggio, viva Forza Italia.»
Una mattina che somiglia a un inizio.

Se c’è una frase che posso  appuntare sul mio taccuino, è questa:
la politica è la continuazione della vita con altri mezzi.

E se c’è un’immagine che voglio raccontare, è quella di Cannizzaro che chiude gli appunti, saluta la sala e corre dalla madre che lo aspetta con la pasta sul fuoco.

Perché la verità è che questa domenica reggina non è stata solo un’assemblea:
è stata una dichiarazione d’esistenza.
Un partito che si guarda allo specchio, si riconosce, si rimette in marcia.
Una città che chiama.
E un gruppo dirigente che – per una volta – risponde davvero.

Luigi Palamara 
Tutti i diritti riservati 
Reggio Calabria 23 novembre 2025
@luigi.palamara

Reggio chiama, Forza Italia risponde La domenica in cui gli azzurri hanno rimesso il motore sul tavolo. L'Editoriale di Luigi Palamara Ci sono mattine in cui una città sembra svegliarsi tutta insieme, come se un filo teso tra i tetti, i lungomari e le colline chiamasse a raccolta chi ancora crede che la politica sia un mestiere serio e non un passatempo da social. A Reggio Calabria, domenica 23 novembre 2025, è accaduto esattamente questo. La Sala “F. Monteleone” del Consiglio regionale ha tremato – non per un terremoto dei tanti che questa terra conosce, ma per l’adunata congiunta dei tre Coordinamenti reggini di Forza Italia. Una riunione che qualcuno, con ragione, ha definito “inedita”, quasi un esperimento laboratoriale dentro un partito che si ritrova, oggi, più in salute di quanto molti – soprattutto i detrattori della prima ora – avrebbero scommesso. C’era un popolo vero, non di cartone. C’erano giovani con ancora il quaderno degli appunti e la voce che trema. C’erano sindaci, consiglieri, dirigenti navigati con la pazienza dei capelli bianchi che hanno già visto tutto ma che, per qualche misteriosa ragione, continuano a tornare. C’erano anche donne determinate e preparate, “il nuovo ordine naturale delle cose”. La politica, quella seria, quella che non si dà in streaming e non si compra a colpi di like, è fatta così: di sedie piene, di interventi a tempo, di gente che aspetta il proprio turno per dire la sua senza il bisogno di demolire l’altro. Una liturgia democratica che altrove sembra archeologia, ma che qui – nella punta estrema del Paese – diventa improvvisamente modernità. Alle 9:30 hanno aperto i lavori Federico Milia, Antonino Maiolino, Giovanni Arruzzolo. Coordinamento Giovani, Grande Città, Provincia: tre pezzi di un ingranaggio che, almeno per un giorno, ha girato all’unisono come un motore rimesso a nuovo. Poi, dalle 10, il dibattito: 45 interventi, tutti entro i tre minuti. Tre ore piene di proposte, diagnosi, confessioni politiche e richiami all’ordine. Reggio e la sua Area metropolitana: un cantiere, una speranza, una responsabilità. E quando finalmente la parola passa al Coordinatore regionale Francesco Cannizzaro, la sala è ancora piena. Non vola una mosca. È l’ora del “capo” del leader, l’ora in cui la comunità si stringe attorno alla propria guida e misura il carattere di un partito non da ciò che promette, ma da come si riconosce in chi lo rappresenta. La chiusura di Cannizzaro: una politica fatta di carne e sangue (e pasta che cuoce) Cannizzaro sale al microfono con l’ironia disarmante degli uomini del Sud che hanno visto abbastanza da non aver più bisogno di impressionare nessuno. Parla poco, dice molto. E comincia così: «In verità sono qui per dirvi tre cose. La prima è che vi voglio veramente bene e nutro per voi un sentimento altissimo di gratitudine per tutto quello che fate, per tutto quello che rappresentate e anche per la giornata di oggi…» Parole semplici, quasi familiari, di quelle che non hanno bisogno di retorica per essere credute. Ringrazia tutti: sindaci, amministratori, dirigenti, giovani, donne. Ringrazia anche chi ha parlato dal palco, “arricchendo le menti”. Poi affonda la seconda verità, quella che profuma di casa, di domenica, di normalità: «…rinuncio all’intervento perché l’ora è tarda e siccome mia madre mi ha appena mandato un messaggio dicendo che sta per calare la pasta, non voglio incidenti nelle vostre famiglie.» La platea ride, ma non c’è solo simpatia: c’è il senso di un politico che non si traveste, che resta figlio prima ancora che deputato. “Uno che non ha paura di essere umano”. Ma in quel minuto restante, Cannizzaro cuce insieme un mosaico di riconoscimenti e responsabilità: – Maiolino “guida il coordinamento della grande città come meglio non si può”; – Milia “presente e futuro della classe dirigente”; – Arruzzolo “amico sincero, eccezione che conferma la regola”. E poi la scena più inaspettata: un elogio appassionato ai giovani che non parlan

♬ suono originale - Luigi Palamara

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