Rispetto, dannazione: perché non siamo qui per sbranare ma per capire. Riflessionale di Luigi Palamara
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Luigi Palamara
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Rispetto, dannazione: perché non siamo qui per sbranare ma per capire.
Riflessionale di Luigi Palamara
Un principio che dovrebbe essere tatuato sulla fronte dell’Italia intera, così che nessuno possa dimenticarlo nemmeno quando fa finta di non sapere: prima della politica viene l’uomo.
Non è filosofia da salotto. È la base, l’ABC, l’inizio e la fine di ogni discorso.
E il fatto che oggi sembri quasi rivoluzionario afferma molto, troppo, sul degrado morale in cui siamo precipitati.
“In questa città dobbiamo ricordare le cose più ovvie, perché l’ovvio è il primo a scomparire.”
“A Reggio Calabria si è dimenticato che dietro ogni politico c’è un essere umano. E quando te ne dimentichi, diventi un barbaro, non un cittadino.”
E allora diciamolo chiaro: quando si saluta una persona, che abbia governato undici anni una città difficile come Reggio Calabria o tre mesi un minuscolo comune tra i monti, non si sta facendo un atto di fede politica.
Si sta riconoscendo la fatica, quella vera, quella che logora, quella che brucia.
E chi non lo capisce dovrebbe avere l’onestà di ammettere che del vivere civile ha capito poco o niente.
La standing ovation di cui si discute tanto non è un trofeo.
È un gesto di civiltà — parola che ormai pare un fossile — con cui un popolo dovrebbe saper salutare un uomo.
Non un santo, non un eroe, non un taumaturgo. Un uomo.
E questo, oggi, sembra quasi scandaloso dirlo.
Ma il vero scandalo è un altro: la città è diventata una gigantesca arena in cui la gente non partecipa alla politica—la divora.
Si scagliano pietre come se fossero petardi, si denunciano buche come se fossero crimini contro l’umanità, si scambia una perdita d’acqua per un gesto di sabotaggio.
E si pretende che chi amministra risolva tutto, subito, perfettamente.
“I reggini vogliono la luna. E si offendono se non gliela dai gratis e incartata.”
“Non capite che nessuno, nemmeno Nostro Signore, vi toglierebbe tutte le buche e tutte le perdite d’acqua. Perché la realtà non è un vostro sfogo sui social!”
Eppure siamo qui, ogni santo giorno, a far finta che esista la magia.
Che da qualche parte, nascosto in un cassetto comunale, ci sia un superpotere in grado di eliminare ogni problema.
Ma non esiste città al mondo — né a Milano, né a Oslo, né a Tokio — senza guasti, lavori, degrado, storture.
Perché nessun territorio è un quadro dipinto: è un corpo vivo. E come tutti i corpi vivi, ha ferite che si riaprono e altre che non si chiuderanno mai del tutto.
Chi non lo capisce è ingenuo.
Chi finge di non capirlo è in malafede.
E poi c’è l’altra ipocrisia, quella che nessuno ha il coraggio di confessare: gli interessi personali.
Una parola che sembra proibita, come se fosse un reato anche solo pronunciarla.
Ma la verità è che l’interesse personale esiste ovunque: in chi governa, in chi critica, in chi tace e in chi urla.
La differenza è che alcuni lo dichiarano e altri lo camuffano da morale o da indignazione.
“A Reggio Calabria nessuno ammette mai di avere interessi. È per questo che sembriamo una città di santi che si accusano tra loro di non esserlo abbastanza.”
“È l’eterno gioco delle parti: tutti colpevoli, tutti innocenti, tutti sempre dalla parte giusta. È così che non si cresce.”
E allora sì, lamentiamoci dei problemi.
Sì, denunciamo ciò che non va.
Sì, pretendiamo che le cose migliorino.
Ma basta con questa guerra permanente, con questa distruzione seriale, con questa ossessione di trovare sempre un colpevole da appendere alla forca come se fosse la soluzione a tutto.
Perché, piaccia o no, chi verrà dopo avrà gli stessi identici problemi.
E non perché è incapace, ma perché amministrare non è una partita a scacchi: è una battaglia nel fango.
E nel fango nessuno esce pulito.
Io — come ho sempre detto — non accetto lezioni da nessuno e non ne do a nessuno.
Racconto ciò che vedo, ciò che vivo, ciò che ascolto.
Racconto una città che non è perfetta, ma è vera.
Racconto la politica, la cultura, la cronaca, la poesia, l’arte.
Racconto con la mia voce, con la mia testa, con la mia onestà.
E ognuno è libero di farsene l’idea che vuole.
Ma se c’è una verità che non voglio smettere di gridare è questa:
Il rispetto non è un premio. È una condizione minima per vivere insieme.
E chi non è capace di darlo, non è capace nemmeno di riceverlo.
Buona serata.
E no, non ho finito.
Ho ancora molte cose da dire. Moltissime.
Perché quando si parla di questa città, non basta mai.
Rispetto, dannazione: perché non siamo qui per sbranare ma per capire Riflessionale di Luigi Palamara Un principio che dovrebbe essere tatuato sulla fronte dell’Italia intera, così che nessuno possa dimenticarlo nemmeno quando fa finta di non sapere: prima della politica viene l’uomo. Non è filosofia da salotto. È la base, l’ABC, l’inizio e la fine di ogni discorso. E il fatto che oggi sembri quasi rivoluzionario afferma molto, troppo, sul degrado morale in cui siamo precipitati. “In questa città dobbiamo ricordare le cose più ovvie, perché l’ovvio è il primo a scomparire.” “A Reggio Calabria si è dimenticato che dietro ogni politico c’è un essere umano. E quando te ne dimentichi, diventi un barbaro, non un cittadino.” E allora diciamolo chiaro: quando si saluta una persona, che abbia governato undici anni una città difficile come Reggio Calabria o tre mesi un minuscolo comune tra i monti, non si sta facendo un atto di fede politica. Si sta riconoscendo la fatica, quella vera, quella che logora, quella che brucia. E chi non lo capisce dovrebbe avere l’onestà di ammettere che del vivere civile ha capito poco o niente. La standing ovation di cui si discute tanto non è un trofeo. È un gesto di civiltà — parola che ormai pare un fossile — con cui un popolo dovrebbe saper salutare un uomo. Non un santo, non un eroe, non un taumaturgo. Un uomo. E questo, oggi, sembra quasi scandaloso dirlo. Ma il vero scandalo è un altro: la città è diventata una gigantesca arena in cui la gente non partecipa alla politica—la divora. Si scagliano pietre come se fossero petardi, si denunciano buche come se fossero crimini contro l’umanità, si scambia una perdita d’acqua per un gesto di sabotaggio. E si pretende che chi amministra risolva tutto, subito, perfettamente. “I reggini vogliono la luna. E si offendono se non gliela dai gratis e incartata.” “Non capite che nessuno, nemmeno Nostro Signore, vi toglierebbe tutte le buche e tutte le perdite d’acqua. Perché la realtà non è un vostro sfogo sui social!” Eppure siamo qui, ogni santo giorno, a far finta che esista la magia. Che da qualche parte, nascosto in un cassetto comunale, ci sia un superpotere in grado di eliminare ogni problema. Ma non esiste città al mondo — né a Milano, né a Oslo, né a Tokio — senza guasti, lavori, degrado, storture. Perché nessun territorio è un quadro dipinto: è un corpo vivo. E come tutti i corpi vivi, ha ferite che si riaprono e altre che non si chiuderanno mai del tutto. Chi non lo capisce è ingenuo. Chi finge di non capirlo è in malafede. E poi c’è l’altra ipocrisia, quella che nessuno ha il coraggio di confessare: gli interessi personali. Una parola che sembra proibita, come se fosse un reato anche solo pronunciarla. Ma la verità è che l’interesse personale esiste ovunque: in chi governa, in chi critica, in chi tace e in chi urla. La differenza è che alcuni lo dichiarano e altri lo camuffano da morale o da indignazione. “S Reggio Calabria nessuno ammette mai di avere interessi. È per questo che sembriamo una città di santi che si accusano tra loro di non esserlo abbastanza.” “È l’eterno gioco delle parti: tutti colpevoli, tutti innocenti, tutti sempre dalla parte giusta. È così che non si cresce.” E allora sì, lamentiamoci dei problemi. Sì, denunciamo ciò che non va. Sì, pretendiamo che le cose migliorino. Ma basta con questa guerra permanente, con questa distruzione seriale, con questa ossessione di trovare sempre un colpevole da appendere alla forca come se fosse la soluzione a tutto. Perché, piaccia o no, chi verrà dopo avrà gli stessi identici problemi. E non perché è incapace, ma perché amministrare non è una partita a scacchi: è una battaglia nel fango. E nel fango nessuno esce pulito. Io — come ho sempre detto — non accetto lezioni da nessuno e non ne do a nessuno. Racconto ciò che vedo, ciò che vivo, ciò che ascolto. Racconto una città che non è perfetta, ma è vera. Racconto la politica, la cultura, la cronaca, la poesia, l’arte. Racconto con la mia voce, con la mia testa, con la mia onestà.
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