Salvini, l'uomo che sussurrava al Ponte sullo Stretto.Il Ponte, la Corte e l’uomo che non vuole capire

Salvini, l'uomo che sussurrava al Ponte sullo Stretto.
Il Ponte, la Corte e l’uomo che non vuole capire
L'Editoriale di Luigi Palamara


Ci sono storie che, a raccontarle, sembrano scherzi della burocrazia. E invece, purtroppo, sono tragedie della politica. Il Ponte sullo Stretto è una di queste. Una favola per adulti che non ci credono più, un reperto della propaganda trasformato in monumento all’ostinazione. E la Corte dei Conti, con la severità del professore che boccia l’alunno impreparato, ha deciso di ricordarcelo ancora una volta.

Non solo è stato negato il visto di legittimità alla delibera Cipess per il progetto esecutivo. Adesso arriva il secondo schiaffo: la convenzione tra il governo e la Stretto di Messina Spa non passa. Respinta. Rimandata al mittente come si fa con una lettera scritta male. Due bocciature in poche settimane. Non un dettaglio: una sentenza politica, pur non volendo esserlo.

E il punto è semplice, quasi banale: se un’opera dopo decenni non sta in piedi nemmeno sulla carta, come pretendiamo che si regga sullo Stretto?

Perché qui non si tratta più di un viadotto tra Sicilia e Calabria. Si tratta di un gigantesco totem retorico che viene smontato pezzo per pezzo da chi, per mestiere, deve contare i numeri e non gli slogan.

E in mezzo a questo scenario c’è lui, Matteo Salvini. L’uomo che ha trasformato il Ponte in un testamento politico, il suo cavallo di battaglia, il suo talismano. Lo brandisce come fosse una crociata personale. E quando gli crolla tra le mani, ostenta sicurezza, sorride, finge di non sentire la risata trattenuta del Paese intero. E questa volta — guarda che sorpresa — non attacca i magistrati. Non gli conviene. Non saprebbe come giustificarlo.

Ma la domanda resta, profonda, inevitabile: quante volte ancora si dovrà dire che quest’opera è inutile, mostruosamente costosa, economicamente fallimentare, tecnicamente fragile e politicamente tossica?

Bisogna davvero aspettare che qualcuno, dalle parti del governo, trovi il coraggio di pronunciare due parole che in democrazia dovrebbero essere semplici: “abbiamo sbagliato”?

O continueremo ancora per anni a inseguire il fantasma del Ponte, come quei pazzi che parlano con le statue e si convincono che rispondano?

Il tutto, ovviamente, sulla pelle degli italiani: quelli che pagano, quelli che aspettano servizi veri, infrastrutture reali, investimenti concreti. Non promesse da luna park.

In fondo, questa storia non è altro che il diario di un imbarazzo nazionale.
Un imbarazzo senza fine.
E senza più scuse.

Luigi Palamara
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