Verità, Lealtà, Libertà: tre parole dimenticate

Verità, Lealtà, Libertà: tre parole dimenticate
L'Editoriale di Luigi Palamara


C’è un silenzio stanco che attraversa la nostra epoca. Un silenzio che non è pace, ma resa. È il rumore ovattato della coscienza che abdica, della dignità che si traveste da opportunismo, della libertà che si svende per un applauso o per trenta denari di visibilità.
Tre parole — Verità, Lealtà, Libertà — che un tempo costituivano l’ossatura morale dell’uomo occidentale, oggi giacciono svuotate, ridotte a slogan pubblicitari, a etichette da social. Eppure, se vissute fino in fondo, sono concetti immensi. Perché pretendono il coraggio. Pretendono la fatica del guardarsi dentro, e non quella, assai più comoda, di puntare il dito contro gli altri.

Viviamo in un’epoca in cui la gente preferisce giudicare piuttosto che capire, demolire piuttosto che costruire. Si è perso il gusto antico dell’introspezione, la nobiltà dell’autocritica. Si alza il tono, ma non il pensiero. Si predica la tolleranza, ma solo verso chi ci somiglia. E nel frattempo, si coltiva un’arte miserabile: quella dell’intimidazione, dell’infangare l’altro per sentirsi un poco più puliti.

Chi fallisce non sempre è un fallito. Ma il vero fallito, quello autentico, è il parassita del tempo altrui: si attacca a chi vive, a chi produce, a chi osa, e tenta di consumarlo. È l’uomo che non costruisce nulla ma pretende di giudicare tutto. È l’invidioso che, incapace di creare, cerca di distruggere ciò che non potrà mai possedere.
Sono creature che vivono di riflesso, vampiri dell’altrui energia, che invece di affrontare la propria mediocrità, preferiscono dissolvere la luce che non possono sopportare.

Ecco la deriva della cosiddetta società moderna: una moltitudine di anime vuote che tentano di entrare nel tempo degli altri, di abitarne le ore, di appropriarsi della vita che non sanno vivere. Si confonde l’invadenza con l’amicizia, la curiosità con la partecipazione, l’ipocrisia con la gentilezza.
Ma la verità è semplice e terribile: chi non ha un tempo proprio, chi non conosce la solitudine e il silenzio, non saprà mai vivere né con sé stesso né con gli altri.

Occorre difendere il proprio tempo come si difende un territorio sacro. Bisogna tener lontani i parassiti dell’anima, gli invidiosi, i falsi amici, gli opportunisti. Smascherarli, sì, ma non con rabbia: con la freddezza chirurgica di chi mostra loro la propria inutilità. Perché la luce, quando è vera, non ha bisogno di gridare. Basta che esista.

E allora, in un mondo che corre senza sapere dove, che urla senza avere nulla da dire, che si vende per un po’ di consenso, l’unico atto di rivoluzione rimasto è tornare a essere liberi dentro.
Liberi di dire la verità anche quando fa male. Leali anche quando costa caro. Veri anche quando la menzogna è più comoda.

Non consentite mai, a nessuno, di entrare nel vostro tempo se non lo merita. Perché la libertà comincia lì: nel diritto, sacro e personale, di scegliere chi può camminare accanto a voi — e chi deve restare indietro.

Luigi Palamara
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