Scrivere senza paura: il caso Lamberti Castronuovo e oltre.
L'Editoriale di Luigi Palamara
C’è sempre qualcuno pronto a insinuare, a sussurrare nei corridoi, a gettare la pietruzza e nascondere la mano. È un vizio antico, quasi antropologico. Ma c’è un limite oltre il quale la pazienza non è più virtù: è complicità. E allora, prima che l’eco delle malelingue si trasformi in verità prefabbricate, vale la pena ribadire l’ovvio. O almeno ciò che dovrebbe esserlo.
Quello che scrivo è di interesse pubblico. Punto. Chi teme le parole, in genere, ha qualcosa da temere dalle parole. Io mi limito al buon senso: i miei articoli parlano di personaggi pubblici, di atti pubblici, di vicende che toccano la comunità. Sono fatti, non confidenze da salotto. Basta leggere per accorgersene. Ma la lettura, si sa, è un esercizio che richiede volontà. E non tutti ne dispongono.
C’è chi confonde il disagio con la colpa, come se scrivere di affari pubblici significasse confessare segreti privati. È un antico espediente: quando non si può smentire una notizia, si prova a screditare chi la scrive. Un trucco di mestiere, un gioco sporco. Così si insinua che dietro un articolo ci sia una ripicca, dietro un’analisi una vendetta. Eppure, chiunque abbia aperto anche solo una pagina dei miei scritti sa che lì non c’è spazio per il pettegolezzo, né per la confidenza personale. Solo fatti, domande, e la schiettezza necessaria per non addormentarsi nella routine civile.
Chi insinua il contrario o non sa leggere — e in questo caso sarebbe un peccato, non una colpa — oppure è in malafede, e allora la questione cambia colore. Perché la malafede non è ignoranza: è scelta. E quando si sceglie di distorcere la realtà, ognuno deve essere pronto ad assumersi la responsabilità delle proprie parole nelle sedi opportune.
Questo non significa che alcune vicende non abbiano lasciato cicatrici. Sarebbe puerile negarlo. Esistono situazioni che logorano il corpo, la mente, la dignità. Che feriscono il morale, il fisico, la psiche, la reputazione. Ma non per questo si rinuncia al mestiere, né alla verità. Semmai, ci si attrezza: ci si tutela, si utilizzano gli strumenti che la legge mette a disposizione, si difende la propria onorabilità come si difende un confine.
E dunque, lo dico con la stessa franchezza che i grandi maestri del giornalismo avrebbero preteso: continuerò a scrivere. Continuerò a raccontare, con chiarezza e rigore, tutte le evoluzioni del caso Eduardo Lamberti Castronuovo. Non per mania di protagonismo, non per gusto della polemica, ma per dovere. Quel dovere minimo e antico che lega chi scrive a chi legge: la verità possibile, restituita senza timori e senza padroni.
Perché il silenzio, questo sì, sarebbe davvero un fatto personale. E io non ho alcuna intenzione di praticarlo.
Luigi Palamara
Reggio Calabria 10 dicembre 2025
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