Il coraggio di chiamare le cose col loro nome
Editoriale di Luigi Palamara
Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha pronunciato parole che in Europa da tempo si sussurrano, ma che nessuno ha più il coraggio di dire ad alta voce. Le ha dette con chiarezza, con forza, e — cosa ormai rara — con coerenza politica e morale.
> “A Gaza c'è una situazione catastrofica di genocidio: appoggiamo la richiesta dell'Onu di accesso degli aiuti, di cessate il fuoco e andare avanti verso la soluzione dei due stati.
È evidente che Israele sta violando l’articolo 2 dell’accordo di associazione con l’Ue sul rispetto dei diritti umani.
L’Europa deve sospendere l’accordo di associazione immediatamente.
Abbiamo 18 pacchetti di sanzioni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina e, con un doppio standard, l’Europa non riesce a sospendere un accordo quando si violano i rapporti umani.”
Parole che suonano come uno schiaffo diplomatico all’ipocrisia istituzionalizzata. Che colpiscono, sì, ma non per provocare: per svegliare. E non sono solo un dito puntato contro Israele, ma un pugno battuto sul tavolo dell’Europa, sonnambula e pavida.
Sánchez non si limita a denunciare l’orrore: osa accostare Gaza a Kyiv, Netanyahu a Putin, e soprattutto denuncia il peccato originale dell’Occidente — il doppio standard morale. La nostra condanna a orologeria, la nostra indignazione selettiva.
Questa non è più politica estera. È una questione di civiltà. E chi oggi ha la lucidità di chiamare un genocidio col suo nome, rischia l’isolamento tra i diplomatici ma forse guadagna un posto — piccolo ma solido — nella storia.
Non sappiamo se le sue parole cambieranno il corso degli eventi. Ma sappiamo che ogni parola taciuta, ogni silenzio accomodante, ci ha già cambiato. In peggio.
Luigi Palamara
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