"Sereno un Piffero". Roberto Occhiuto ha perso la tranquillità.
Un avviso di Garanzia che sconvolge la Calabria tutta.
Editoriale di Luigi Palamara
Reggio Calabria, 12 giugno 2025. Ci sono giorni in cui la vita pubblica ti volta le spalle con la stessa rapidità con cui ti aveva applaudito. È accaduto a Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, che si è svegliato con un avviso di garanzia per corruzione. Non una sentenza. Non una condanna. Solo un foglio, eppure pesante come un macigno.
E in quel peso si riflette il cuore contraddittorio della politica italiana.
Il crollo dell'innocenza apparente
La reazione del governatore è stata umana, troppo umana: «È un'infamia, come un'accusa di omicidio». In questa frase c'è l'anima nuda di un uomo che ha sempre scommesso sulla rispettabilità, che si è costruito un profilo da “tecnico del fare”. Ma il potere non è mai solo un mestiere: è un’identità, è un “noi” che si alimenta di fiducia collettiva. Quando vacilla, non si incrina solo un uomo. Si rompe un equilibrio.
L’avviso come rito di passaggio
Un avviso di garanzia non è mai solo un fatto giudiziario. È una lente, uno specchio, un’occasione in cui il potere si ritrova a guardarsi senza trucco. E se c’è una Calabria che prova a rialzarsi, allora anche il sospetto deve essere affrontato senza narrazioni difensive. L’avviso non è ancora colpa, ma è già crepa.
Il silenzio come rispetto: quando la solidarietà diventa rumore
Di fronte all’inchiesta, si è alzato immediato il coro degli alleati, degli amici di partito, dei difensori d’ufficio. Tajani ha parlato di onestà, altri di “ingiustizia mediatica”, qualcuno di “accanimento”. Ma è proprio qui che si smarrisce il senso profondo delle istituzioni.
Perché in momenti così delicati, la solidarietà autentica va offerta in privato, alla persona. Non nei talk show, non nei comunicati, non nei flash di una conferenza stampa. Esporsi pubblicamente, per “difendere”, rischia di essere un atto di auto-protezione politica, non un gesto di cura. Tacere è un atto di forza, non di debolezza. È rispetto per la magistratura, per l’indagine, per la verità che ancora non si conosce. E il solo autorizzato a parlare, il solo che aveva il diritto morale di farlo, lo ha già fatto: Roberto Occhiuto.
Ha parlato con fermezza, con dolore, con una dignità che dovrebbe bastare a tutti. Il resto – gli applausi, i cori, le reazioni – sono rumore. E il rumore, in politica, è spesso un modo per coprire l’imbarazzo.
> Se gli amici tacciono, Occhiuto ci guadagna.
La solidarietà sbandierata pubblicamente, così come le note di stima e fiducia assoluta, ricordano quel personaggio che, per aiutare l’amico a salire a cavallo, finisce per dargli una spinta così forte da buttarlo dall’altra parte.
In Calabria – va detto con chiarezza – gli equilibri politici non li decide più la politica, ma la magistratura. E i magistrati, nel rispetto della legge, hanno il dovere di procedere davanti a qualunque reato e nei confronti di chiunque. Senza eccezioni, senza pressioni, senza sovrastrutture di potere.
L’Italia dei sospetti, la Calabria dei nodi
Questa inchiesta non è isolata. Si inserisce in un contesto di opacità strutturale, in una terra dove il confine tra politica, burocrazia e clientelismo è spesso più verbale che reale. Ecco il nodo: non basta essere “onesti” individualmente. Bisogna vivere e governare in modo che la trasparenza sia visibile, evidente, misurabile. L’innocenza dichiarata non è più sufficiente: serve esemplarità.
La Politica e la sua ultima verità
Ogni crisi politica è anche una crisi d’identità collettiva. L’onestà non è un diritto acquisito, ma una prova continua.
L'avviso a Occhiuto è forse l’inizio di un’indagine, ma è soprattutto un appello: a guardarsi dentro, a interrogare il sistema che lo ha portato al potere, e a chiedersi se la politica – oggi – sia ancora capace di camminare con la schiena dritta.
Perché in Italia, più che la colpa, ciò che distrugge un uomo è il sospetto.
E spesso, come il potere, anche il sospetto non chiede permesso. Arriva. E ti guarda.
Luigi Palamara
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