Reggio, il sogno ricorsivo del rinnovamento tradito
di Luigi Palamara
In una terra come Reggio Calabria, l’annuncio di ogni “nuovo inizio” è già, per sua stessa natura, un rito stanco. Le bandiere del civismo sventolano fiere, ma spesso non sono altro che drappi riciclati da vecchie liturgie di potere, logore e sfilacciate. L’ultima di queste liturgie ha un nome, e ha il volto antico e scolpito di Eduardo Lamberti Castronuovo, medico, ex assessore, oratore appassionato e – a detta sua – interprete autentico del bisogno di "normalità". Eppure, nella Calabria di Corrado Alvaro, dove «la disperazione più profonda è quella di non credere nella risalita», tutto ciò suona come un’eco già sentita.
La presentazione del Polo Civico “Cultura e Legalità” è stata solenne, gremita, teatrale. Gente in piedi, nomi di spessore, applausi convinti. Ma anche le cattedrali sventrano il cielo quando sono vuote. Il problema non è la mancanza di idee: è l’eccesso di déjà vu. Gli stessi volti, le stesse strette di mano, gli stessi sorrisi da foyer elettorale … non comprimari, ma comparse ricorrenti in un dramma politico che da decenni si muove sul medesimo copione.
In ogni movimento collettivo – anche quello civico – c’è un’energia primordiale, una “stato nascente” che unisce, galvanizza, sovverte. Ma lo stato nascente si consuma rapidamente se non è sorretto dalla verità. Se l’anelito al cambiamento è guidato dall’ambizione individuale, non è più moto collettivo, ma proiezione narcisistica di un uomo solo al comando, in cerca di redenzione personale attraverso l’illusione del popolo.
Certo, Lamberti parla di legalità, cultura, restanza. E chi potrebbe essere contrario? Ma «È inutile cambiare gli attori se non si cambia il copione.» E il copione calabrese è sempre lo stesso: si celebra il nuovo con gli attrezzi del vecchio. Non c’è nulla di più conservatore di chi si professa rivoluzionario senza essere disposto a farsi da parte.
C’è chi applaude e chi, come noi, si permette di dubitare. E dubitare, in questo contesto, non è un atto di disfattismo ma di lucido affetto. Chi ama Reggio Calabria non vuole più illusioni, non vuole più fumo negli occhi, non vuole più “progetti civici” che si frantumano alla prima scadenza elettorale o alla prima ambizione non soddisfatta.
Lo sappiamo già: presto arriveranno le prime defezioni, i distinguo, i comunicati stampa dei delusi. Si griderà al tradimento, si invocherà la purezza originaria del progetto, si darà la colpa ai “professionisti del disfattismo”. Ma sarà solo l’ennesima ripetizione del dramma meridionale.
E allora, piaccia o non piaccia, questo è. Non un attacco personale, ma un tentativo di guardare oltre la nebbia. Di ricordare, come scriveva Alvaro, che “la sincerità non è un atto di coraggio, ma una necessità civile”.
E oggi, dire la verità a Reggio Calabria è l’unico atto davvero rivoluzionario.
Luigi Palamara
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