Prima l’uomo, poi la divisa. Il peccato del generale Oresta
Editoriale di Luigi Palamara
C’è un punto, nel destino di ogni istituzione, in cui il linguaggio del cuore diventa più pericoloso delle armi. Il generale Pietro Oresta ha pagato quel prezzo. Non per una disobbedienza, non per un errore tattico, ma per aver detto la verità più elementare e, al tempo stesso, più rivoluzionaria: che la persona – con le sue fragilità, i suoi affetti, la sua salute mentale – viene prima della procedura. Un’affermazione semplice, quasi ovvia. Eppure, in certi templi del dovere, suona come un’eresia.
Quando si parla di “movimenti collettivi”, si sa che ogni rivoluzione comincia con un gesto umano che scardina la forma. E che nella rigidità delle istituzioni, quel gesto viene subito riconosciuto come un pericolo.
LP “Hanno silurato un uomo perché ha avuto il torto di parlare da uomo”.
Il discorso di congedo del generale Oresta alla Scuola Marescialli dei Carabinieri non è stato un sermone pacifista né una fuga dalla disciplina. È stato un atto d’amore verso i suoi allievi. Li ha messi in guardia, non contro un nemico esterno, ma contro il rischio di perdersi dentro l’uniforme. Ha detto loro, senza retorica, che Batman e Rambo non esistono. Che prima di essere soldati devono restare esseri umani. Che la palestra, il centro estetico, la benzina economica e le vacanze non sono futilità, ma strumenti di equilibrio, di sopravvivenza.
Quel discorso è figlio di un dolore. Un suicidio, una ragazza di 25 anni, un’inchiesta, poi il silenzio. Il generale non ha fatto nomi, ma ha portato dentro sé il lutto dell’Arma – non quello che si indossa, ma quello che si sente. E ha osato trarne una lezione, invece di archiviarlo.
Eppure il sistema non perdona chi rompe la liturgia. Il generale è stato rimosso. Senza spiegazioni ufficiali, senza polemica pubblica. Ma con una puntualità che sa di punizione esemplare. La gerarchia preferisce chi ripete “sacrificio”, “onorate la divisa”, “prima il dovere, poi (forse) il vostro cuore”. Parole antiche, sicure, che non rischiano di cambiare nulla.
Ma oggi, nel 2025, in una generazione colpita dallo stress, dal burnout, dai suicidi in divisa, quelle formule suonano come un rintocco stanco. Il generale Oresta ha provato a parlare la lingua dei suoi giovani allievi. Lo ha fatto con tenerezza, con onestà. Ha provato a salvarli prima che sia troppo tardi.
C’è chi lo ringrazia. E chi lo silenzia. Ma il seme è stato piantato. Perché un giorno, forse non lontano, l’Arma dovrà scegliere se essere una macchina perfetta o una comunità di persone. E allora il “peccato” del generale Oresta apparirà per ciò che è: un gesto profetico. Un atto d’amore.
© Luigi Palamara Tutti I diritti riservati.
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@luigi.palamara Prima l’uomo, poi la divisa. Il peccato del generale Oresta Editoriale di Luigi Palamara C’è un punto, nel destino di ogni istituzione, in cui il linguaggio del cuore diventa più pericoloso delle armi. Il generale Pietro Oresta ha pagato quel prezzo. Non per una disobbedienza, non per un errore tattico, ma per aver detto la verità più elementare e, al tempo stesso, più rivoluzionaria: che la persona – con le sue fragilità, i suoi affetti, la sua salute mentale – viene prima della procedura. Un’affermazione semplice, quasi ovvia. Eppure, in certi templi del dovere, suona come un’eresia. Quando si parla di “movimenti collettivi”, si sa che ogni rivoluzione comincia con un gesto umano che scardina la forma. E che nella rigidità delle istituzioni, quel gesto viene subito riconosciuto come un pericolo. LP “Hanno silurato un uomo perché ha avuto il torto di parlare da uomo”. Il discorso di congedo del generale Oresta alla Scuola Marescialli dei Carabinieri non è stato un sermone pacifista né una fuga dalla disciplina. È stato un atto d’amore verso i suoi allievi. Li ha messi in guardia, non contro un nemico esterno, ma contro il rischio di perdersi dentro l’uniforme. Ha detto loro, senza retorica, che Batman e Rambo non esistono. Che prima di essere soldati devono restare esseri umani. Che la palestra, il centro estetico, la benzina economica e le vacanze non sono futilità, ma strumenti di equilibrio, di sopravvivenza. Quel discorso è figlio di un dolore. Un suicidio, una ragazza di 25 anni, un’inchiesta, poi il silenzio. Il generale non ha fatto nomi, ma ha portato dentro sé il lutto dell’Arma – non quello che si indossa, ma quello che si sente. E ha osato trarne una lezione, invece di archiviarlo. Eppure il sistema non perdona chi rompe la liturgia. Il generale è stato rimosso. Senza spiegazioni ufficiali, senza polemica pubblica. Ma con una puntualità che sa di punizione esemplare. La gerarchia preferisce chi ripete “sacrificio”, “onorate la divisa”, “prima il dovere, poi (forse) il vostro cuore”. Parole antiche, sicure, che non rischiano di cambiare nulla. Ma oggi, nel 2025, in una generazione colpita dallo stress, dal burnout, dai suicidi in divisa, quelle formule suonano come un rintocco stanco. Il generale Oresta ha provato a parlare la lingua dei suoi giovani allievi. Lo ha fatto con tenerezza, con onestà. Ha provato a salvarli prima che sia troppo tardi. C’è chi lo ringrazia. E chi lo silenzia. Ma il seme è stato piantato. Perché un giorno, forse non lontano, l’Arma dovrà scegliere se essere una macchina perfetta o una comunità di persone. E allora il “peccato” del generale Oresta apparirà per ciò che è: un gesto profetico. Un atto d’amore. © Luigi Palamara Tutti I diritti riservati. #carabinieri #generale #pietrooresta ♬ suono originale - Luigi Palamara
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