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Regione Calabria. Poteva non sapere, presidente Occhiuto?

Regione Calabria. Poteva non sapere, presidente Occhiuto?
Editoriale di Luigi Palamara


In Calabria, terra antica e tormentata, dove la memoria è lunga e la fiducia corta, il tempo non passa mai invano: sedimenta, s’incrosta, grida. Ora grida forte, nella Cittadella del potere regionale, dove i marmi luccicano mentre gli ospedali muoiono.

Roberto Occhiuto, governatore e commissario alla sanità, è l’uomo che aveva promesso di restituire dignità a una regione colpita dalla malasanità, dalla burocrazia bizantina, dalla fuga dei suoi migliori figli. Aveva promesso trasparenza, efficienza, rinascita. Oggi è indagato per corruzione, e sul suo capo pende la domanda più antica e più attuale del potere: "Sapeva? Poteva non sapere?"

Il peso del potere
“Il potere logora chi lo esercita, se non lo sa tenere a freno.” E il potere, in Calabria, è un artiglio che stringe forte. La macchina regionale è stata riorganizzata con mano decisa, quasi militare. Nomi spostati, fedeltà premiate, competenze traslocate come pacchi. Apparentemente dietro le quinte, una figura poco nota ma potentissima: Veronica Rigoni, veneta, segretaria particolare del presidente, regista silenziosa. La sua ascesa, fulminea e riservata, è uno dei tanti paradossi di questa Calabria che premia chi viene da fuori e punisce chi resiste da dentro.

I vertici sono stati rimodellati senza concorsi, con atti spesso percepiti come imposti. Non uno scatto d’orgoglio dalla politica calabrese, nessun moto di trasparenza reale. Tutti sapevano, tutti tacevano.

Una sanità al collasso
La sanità, commissariata da oltre un decennio, è oggi al collasso strutturale. Gli ospedali chiudono, le liste d’attesa superano l’anno, e il progetto dei medici cubani, tanto sbandierato, è ormai una parabola amara: dovevano essere i salvatori, sono diventati spettatori. Alcuni parlano poco l’italiano, altri non sono stati formati a sufficienza, altri ancora sono stati usati come paravento politico, per nascondere l’assenza di un vero piano sanitario.

E mentre i numeri della mobilità passiva (oltre 300 milioni di euro) raccontano un esodo di malati verso il nord, i poveri restano indietro. Come scriveva Corrado Alvaro: “La disperazione più grande di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.” Oggi in Calabria si dubita persino che curarsi sia possibile.

La questione morale
Ora l’indagine. L’avviso di garanzia, le intercettazioni, i nomi. E il presidente, che si dice “Sereno?!!??  Un piffero!”, si difende con forza. Ma resta la domanda: poteva non sapere?
Sapeva delle nomine, della riorganizzazione gestita dal suo entourage, delle pressioni per i posti nei dipartimenti, degli ospedali chiusi, dei medici frustrati? Poteva non sapere che dietro l’apparato della Cittadella si stava consumando un'erosione lenta e metodica del senso dello Stato?

E se non sapeva, chi governava davvero?
Perché il potere non si esercita solo firmando decreti o facendo conferenze stampa. Si esercita assumendosi la responsabilità morale di ciò che accade sotto il proprio comando. Un presidente che nomina, che ristruttura, che dirige ogni aspetto della sanità, non può non sapere.

L’ora della verità
La Calabria oggi è in emergenza rossa, e non solo sanitaria. È rossa di vergogna, rossa di rabbia, rossa di dolore. Le inchieste faranno il loro corso. Ma la politica, se vuole ancora avere senso, deve rispondere prima che lo facciano i giudici.

Le società crollano non per le crisi, ma per la mancanza di risposte etiche. La vera risposta che i calabresi oggi attendono non è nei verbali della procura. È in un gesto, in un’ammissione, in una svolta.

E forse, anche in una rinuncia.

Il tempo stringe. I calabresi non vogliono capri espiatori né nuovi salvatori. Vogliono verità. E dignità.

E oggi, la domanda da cui non si sfugge è una sola:

> “Presidente Occhiuto, poteva non sapere?”

Luigi Palamara
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