La sinistra che non c’è più.
Editoriale di Luigi Palamara
Reggio Calabria, 23 ottobre 2025. Una regola in politica, semplice e spietata come la fisica è: ciò che non si muove, decade.
In Calabria, per anni, la politica oscillava come un pendolo: una volta vinceva uno, cinque anni dopo vinceva l’altro. Era la fisiologia di una democrazia viva, seppur imperfetta.
Oggi, quel pendolo si è fermato. E quando il pendolo si ferma, non è mai un buon segno: vuol dire che il meccanismo si è rotto.
Nino De Gaetano, uomo del Sud e della sinistra che conosce le viscere della sua terra, lo ha detto con una franchezza che in politica è merce rara: “O siamo noi a non capire più gli elettori, o sono gli elettori ad aver capito noi.”
In entrambi i casi, il risultato non cambia: la sinistra ha perso. Non un’elezione — quelle si perdono e si vincono — ma la capacità di parlare al popolo.
Già, il popolo. Quella parola che la sinistra aveva inventato e che ora pronuncia con un certo imbarazzo, come fosse una parolaccia.
Lo aveva abbandonato nelle periferie, nelle fabbriche, nei quartieri dove una volta si accendevano le sezioni e si discuteva di tutto, dal Vietnam al prezzo del pane.
Oggi quei luoghi non esistono più. E dove non arriva la sinistra, arriva qualcun altro: la destra. Che almeno ci va, stringe mani, promette, magari non mantiene — ma c’è.
In Calabria, racconta De Gaetano, la destra non ha cambiato molto, ma ha dato l’impressione di averlo fatto. E in politica, spesso, l’impressione vale più della sostanza.
Occhiuto, con la sua lista personale, ha raccolto voti “solo col simbolo”, come se fosse un partito ideologico. Non lo è, ma l’ha sembrato. E tanto basta per vincere.
La sinistra, invece, discute di alleanze, di sigle, di campi larghi e stretti, di candidati scelti tre giorni prima e programmi scritti l’ultima notte.
Un tempo i partiti facevano politica dodici mesi l’anno. Oggi fanno comunicati stampa e poi si svegliano quando suona la campanella delle elezioni.
E se ti riduci a costruire un’alternativa in quindici giorni, l’alternativa non la costruisci: la improvvisi.
De Gaetano non risparmia nessuno: né Roma, che guarda alla Calabria come a una colonia remota, né i suoi stessi compagni di partito, incapaci di capire che il PD, da solo, due liste non bastano. Ce ne volevano quattro. Ma soprattutto ce ne voleva una, quella più difficile da fare: una lista di idee.
Il punto, però, non è solo organizzativo. È morale, culturale, perfino antropologico.
La sinistra ha smesso di credere in se stessa. Non parla più il linguaggio della gente che lavora, che soffre, che si arrangia. Parla il linguaggio degli uffici stampa.
E quando la politica si riduce a marketing, l’elettore sceglie l’originale: la destra.
C’è una frase, nel discorso di De Gaetano, che andrebbe incisa sulla porta di ogni sezione:
“Se non esistiamo dove c’è il disagio, la sinistra non ha senso, non deve esistere.”
Non è un lamento. È un epitaffio.
La sinistra sopravvive nelle analisi, nei convegni, nei salotti televisivi, ma è scomparsa dai bar, dalle scuole, dai mercati.
Perfino nelle università calabresi, racconta De Gaetano, comanda Forza Italia.
C’è un che di ironico — quasi comico — nel pensare che il partito di Berlusconi sia riuscito dove quello di Gramsci ha abdicato: nelle aule dei giovani.
Eppure la diagnosi è chiara e la cura non impossibile: tornare dove la gente vive. Aprire porte e finestre, non per far entrare l’aria delle primarie, ma quella del mondo reale.
Non c’è altra strada.
Il resto — le alleanze, le sigle, le strategie — sono dettagli di un funerale.
La sinistra calabrese, e con essa quella italiana, rinascerà solo quando smetterà di chiedersi come vincere e tornerà a chiedersi per chi combatte.
Finché non lo farà, il pendolo continuerà a stare fermo.
E un pendolo fermo, in politica come nella vita, è il segno di un tempo morto.
Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 24 ottobre 2025
#ninodegaetano
#politica
#reggiocalabria #calabria
#ricostruire
@luigi.palamara La sinistra che non c’è più. Editoriale di Luigi Palamara Reggio Calabria, 23 ottobre 2025. Una regola in politica, semplice e spietata come la fisica è: ciò che non si muove, decade. In Calabria, per anni, la politica oscillava come un pendolo: una volta vinceva uno, cinque anni dopo vinceva l’altro. Era la fisiologia di una democrazia viva, seppur imperfetta. Oggi, quel pendolo si è fermato. E quando il pendolo si ferma, non è mai un buon segno: vuol dire che il meccanismo si è rotto. Nino De Gaetano, uomo del Sud e della sinistra che conosce le viscere della sua terra, lo ha detto con una franchezza che in politica è merce rara: “O siamo noi a non capire più gli elettori, o sono gli elettori ad aver capito noi.” In entrambi i casi, il risultato non cambia: la sinistra ha perso. Non un’elezione — quelle si perdono e si vincono — ma la capacità di parlare al popolo. Già, il popolo. Quella parola che la sinistra aveva inventato e che ora pronuncia con un certo imbarazzo, come fosse una parolaccia. Lo aveva abbandonato nelle periferie, nelle fabbriche, nei quartieri dove una volta si accendevano le sezioni e si discuteva di tutto, dal Vietnam al prezzo del pane. Oggi quei luoghi non esistono più. E dove non arriva la sinistra, arriva qualcun altro: la destra. Che almeno ci va, stringe mani, promette, magari non mantiene — ma c’è. In Calabria, racconta De Gaetano, la destra non ha cambiato molto, ma ha dato l’impressione di averlo fatto. E in politica, spesso, l’impressione vale più della sostanza. Occhiuto, con la sua lista personale, ha raccolto voti “solo col simbolo”, come se fosse un partito ideologico. Non lo è, ma l’ha sembrato. E tanto basta per vincere. La sinistra, invece, discute di alleanze, di sigle, di campi larghi e stretti, di candidati scelti tre giorni prima e programmi scritti l’ultima notte. Un tempo i partiti facevano politica dodici mesi l’anno. Oggi fanno comunicati stampa e poi si svegliano quando suona la campanella delle elezioni. E se ti riduci a costruire un’alternativa in quindici giorni, l’alternativa non la costruisci: la improvvisi. De Gaetano non risparmia nessuno: né Roma, che guarda alla Calabria come a una colonia remota, né i suoi stessi compagni di partito, incapaci di capire che il PD, da solo, due liste non bastano. Ce ne volevano quattro. Ma soprattutto ce ne voleva una, quella più difficile da fare: una lista di idee. Il punto, però, non è solo organizzativo. È morale, culturale, perfino antropologico. La sinistra ha smesso di credere in se stessa. Non parla più il linguaggio della gente che lavora, che soffre, che si arrangia. Parla il linguaggio degli uffici stampa. E quando la politica si riduce a marketing, l’elettore sceglie l’originale: la destra. C’è una frase, nel discorso di De Gaetano, che andrebbe incisa sulla porta di ogni sezione: “Se non esistiamo dove c’è il disagio, la sinistra non ha senso, non deve esistere.” Non è un lamento. È un epitaffio. La sinistra sopravvive nelle analisi, nei convegni, nei salotti televisivi, ma è scomparsa dai bar, dalle scuole, dai mercati. Perfino nelle università calabresi, racconta De Gaetano, comanda Forza Italia. C’è un che di ironico — quasi comico — nel pensare che il partito di Berlusconi sia riuscito dove quello di Gramsci ha abdicato: nelle aule dei giovani. Eppure la diagnosi è chiara e la cura non impossibile: tornare dove la gente vive. Aprire porte e finestre, non per far entrare l’aria delle primarie, ma quella del mondo reale. Non c’è altra strada. Il resto — le alleanze, le sigle, le strategie — sono dettagli di un funerale. La sinistra calabrese, e con essa quella italiana, rinascerà solo quando smetterà di chiedersi come vincere e tornerà a chiedersi per chi combatte. Finché non lo farà, il pendolo continuerà a stare fermo. E un pendolo fermo, in politica come nella vita, è il segno di un tempo morto. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 24 ottobre 2025 #ninodegaetano #politica #reggiocalabria #calabria #ricostruire ♬ suono originale - Luigi Palamara
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