Cannizzaro, il reggino con la maglia amaranto: pronto ad aiutare, non a comandare
L'Editoriale di Luigi Palamara
Reggio Calabria, la città dei mille amori e dei mille tradimenti politici, è tornata al centro del gioco. Dopo settimane di attesa e di sospiri, la Giunta regionale ha preso forma e martedì prossimo il nuovo Consiglio si insedierà. Da quel momento in poi, le scuse finiranno. Il tempo dei “vedremo” e dei “ne parleremo al tavolo” è finito. Davanti c’è un’elezione comunale che incombe e dietro un silenzio che pesa come piombo.
Nel frattempo, qualcuno ha voluto dipingere Francesco Cannizzaro come il nuovo condottiero, pronto a calarsi nell’arena con la fascia tricolore in sogno e lo scettro del comando in tasca. Ma la realtà – e qui bisogna dirlo con chiarezza, senza le ombre e i sottintesi del linguaggio politico – è un’altra.
Cannizzaro non ha dato la propria disponibilità a candidarsi a sindaco di Reggio Calabria. Non lo ha fatto allora, il 17 ottobre in Piazza Duomo, e non lo ha fatto dopo. Quel giorno ha semplicemente detto di essere pronto a “scendere in campo con la maglietta amaranto”, simbolo di un amore viscerale per la sua città, non per una poltrona. Ha parlato da reggino, non da aspirante primo cittadino. Da uomo che vuole dare una mano, non da uomo che vuole prendersi tutto.
Eppure, da quella frase si è costruita una narrazione che oggi rischia di apparire per ciò che è: un fraintendimento conveniente. I suoi alleati di coalizione, con l’entusiasmo di chi ha bisogno di un nome da spendere, hanno subito alzato i toni, incoronandolo senza che lui avesse chiesto la corona. La Lega e Fratelli d’Italia lo hanno definito “valore aggiunto”, “punto di coesione”, “catalizzatore di consenso”. Tutto vero, forse. Ma nessuno ha notato la differenza sottile e decisiva tra l’essere pronti a servire e il voler comandare.
Cannizzaro ha sempre giocato la partita della città, non quella del potere. Ha portato a casa risultati, investimenti, attenzioni per una Reggio che troppo spesso è stata dimenticata persino dalle mappe del potere regionale. E lo ha fatto da parlamentare, non da sindaco in pectore.
E qui sta la prima verità politica che molti fingono di non vedere: qualora Cannizzaro dovesse davvero decidere di candidarsi a sindaco di Reggio Calabria, gli avversari – e forse anche qualche alleato – leggerebbero in quella scelta un ridimensionamento, un passo indietro rispetto alla dimensione regionale e nazionale che oggi egli rappresenta. Perché, piaccia o no, Cannizzaro ha ormai conquistato un prestigio tale che nessun traguardo gli è precluso: né ruoli di governo, né incarichi di vertice, fino a ipotesi di peso come quella di sottosegretario o addirittura ministro.
E tuttavia, conoscendolo, non si può escludere nulla. Dall’alto della sua geniale follia politica – quella che gli ha sempre permesso di ribaltare i pronostici, spiazzare gli avversari e sorprendere anche gli amici – potrebbe essere lui stesso, un giorno, a decidere di scendere in campo per davvero. Di prendere in mano la sua Reggio Calabria e la sua Città Metropolitana non come spettatore, ma come protagonista, come sindaco.
Ma fino a quel giorno, il suo messaggio resta limpido: Reggio non è un trampolino, è casa. E in casa non si comanda, si serve.
Ecco perché, al netto delle voci, delle letture interessate e delle scommesse premature, Cannizzaro rimane ciò che ha sempre detto di essere: un reggino con la maglia amaranto, pronto ad aiutare, non a comandare.
E a Reggio Calabria, oggi più che mai, servono mani. Non corone.
Luigi Palamara
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