Il rumore dei sottotitoli

Il rumore dei sottotitoli
L'Editoriale di Luigi Palamara


In Italia c'è sempre qualcuno che si stupisce del fatto che esistano italiani diversi da lui. È una sindrome antica, quasi genetica, e ogni tanto riaffiora come un rigurgito del nostro provincialismo. Stavolta il protagonista si chiama Flavio Briatore: imprenditore di lusso, globe-trotter del denaro facile, uomo che ha fatto del superfluo un mestiere e dell’ostentazione un credo. Ha detto che quando parla con certi napoletani “dovrebbe avere i sottotitoli”, e che capisce meglio Sinner – cioè un ragazzo altoatesino che parla con l’accento del Nord – “che certa gente del meridione”.

Ora, non serve la retorica del moralista d’accatto per notare che una frase del genere è brutta. Non volgare, non offensiva nel senso plateale del termine, ma brutta perché rivela ciò che l’Italia, in fondo, non riesce mai a guarire: la sua divisione interna, la sua incapacità di riconoscersi come popolo unico, anche solo nella parlata.

Briatore, come molti uomini che si credono cittadini del mondo perché frequentano Saint-Tropez, confonde la geografia con la civiltà. Scambia l’accento per ignoranza, il dialetto per mancanza di educazione. Ma i dialetti – glielo direbbe qualunque storico o linguista – sono la linfa di una nazione viva. E l’Italia, senza le sue voci meridionali, non sarebbe che una penisola scialba, tutta pettinata e senz’anima.

È il solito vizio dei parvenu: credere che l’eleganza consista nel rinnegare le proprie radici.”
“Ma chi sei tu per mettere i sottotitoli alla gente? Forse perché la tua lingua, quando parla di soldi, è più comprensibile del cuore di chi non ha bisogno di yacht per sentirsi qualcuno?”

La verità, caro Briatore, è che non servono i sottotitoli per capire un napoletano. Serve l’orecchio dell’anima. Napoli, e con lei il Sud intero, parla una lingua che non si traduce: si ascolta, si respira, si sopporta e si ama. Chi non la capisce, non è che sia sordo. È solo povero. Povero dentro, povero di curiosità, povero di rispetto per la vita che vibra nelle inflessioni diverse dalla sua.

E se davvero un uomo come lei – che ha girato il mondo, che commercia in champagne e sorride ai miliardari – non riesce a capire un napoletano, allora non è il napoletano a dover parlare più chiaro. È lei, signor Briatore, che dovrebbe imparare finalmente ad ascoltare.

Luigi Palamara
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