Il mestiere scomodo della libertà.
L'Editoriale di Luigi Palamara
Intimidazioni. Offese. Diffamazioni.
E tutto per un mestiere che, a sentire certi animi pavidi, dovrebbe essere facile come respirare.
Ma non lo è. Non lo è mai stato. E non lo sarà mai — soprattutto se si ha l’ardire di non appartenere a nessuno.
Fare giornalismo, quello vero, significa camminare ogni giorno su un campo minato: tra i sospetti del potere, l’odio dei fanatici, e la superficialità di chi scambia la libertà d’opinione per licenza d’insulto.
Io non cerco applausi. Non cerco favori. Non cerco né padrini né padroni.
Scrivo, racconto, analizzo.
Faccio interviste, seguo conferenze stampa, realizzo video.
Cerco solo di offrire un punto di vista — il mio.
Non più importante, non più nobile, ma neppure meno degno di rispetto di quello di chi mi legge.
E allora mi chiedo: perché tanto livore?
Perché questa furia anonima che si traduce in offese, insinuazioni, minacce?
Ho dovuto, mio malgrado, ricorrere alle querele — non per vanità o vendetta, ma per difendere un principio: che la libertà non è un lasciapassare per l’ingiuria.
Quello che faccio è, per giunta, un servizio gratuito.
Uno spazio senza pubblicità, senza condizionamenti, senza padrini.
Un piccolo avamposto di libertà in un mondo che pare non sopportarla più.
E allora spiegatemelo, se potete: da dove nasce questa ostinazione a infangare, a intimidire, a cercare di zittire chi non ripete il coro?
La verità non è di nessuno. Non la possiedo io, ma nemmeno voi.
Abbiamo solo il diritto — e il dovere — di cercarla, con onestà.
Rispettiamo, dunque, chi ancora ha il coraggio di farlo, anche gratis, anche da solo.
Perché chi tenta di ridurre al silenzio una voce libera, sbaglia indirizzo.
E sbaglia epoca.
Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
#editoriale #luigipalamara
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