Il sabato sera di Reggio e quei cani che ci ricordano chi siamo davvero.

Il sabato sera di Reggio e quei cani che ci ricordano chi siamo davvero.
L'Editoriale di Luigi Palamara



È un segno dei tempi che non troverete nelle statistiche né nei comunicati ministeriali: lo si vede il sabato sera, quando la città si sgranchisce le ossa e la gente prova a dimenticare, almeno per qualche ora, le sue piccole e grandi miserie.
A Reggio Calabria questo segno cammina su quattro zampe.

Osservare tanti cani passeggiare lungo le vie del centro non è solo un fatto di costume: è una dichiarazione. È il termometro di una società che, smarrita fra rumori, schermi e solitudini, trova rifugio nell’unica creatura che non mente mai: il cane.

Io, che ho visto generazioni intere cercare conforto nelle ideologie e poi negli slogan, oggi li vedo cercarlo in qualcosa di più semplice e più vero. E francamente non so se sia un passo avanti o un ritorno all’essenziale. Forse entrambe le cose.

Nei pressi della libreria Ave—la più antica della città, che resiste come una trincea di carta e dignità—abbiamo incrociato Arthur e Berto, due splendidi cani che sembrano usciti da un romanzo di famiglia: sguardo fiero, passo sicuro, la nobiltà silenziosa di chi non ha bisogno di dimostrar nulla.
Lì, in quel piccolo crocevia di storie che Fabio Saraceno riesce a trasformare ogni sera in un evento, c’era una folgorazione: gli umani e i loro fedeli compagni condividono uno spazio, un’aria, un sorriso.

E qui interviene la voce che mi piace molto:
la verità è che questi animali non addolciscono il mondo—lo smascherano.
Ci ricordano chi siamo quando smettiamo di recitare. Con loro non esistono le pose, le battute pronte, le facce da circostanza. Esiste la sincerità pura, elementare, a volte brutale, sempre leale.

Stare lì, in mezzo a quel miscuglio di fedeltà, empatia e sorrisi, è stato bello.
Sì, per me certamente. Ma anche per una città che, nel riflesso lucido degli occhi dei cani, ritrova qualcosa che aveva perso: la capacità di essere comunità senza bisogno di proclami.

E allora, in un sabato sera qualunque, Reggio Calabria ci ha ricordato che la civiltà non si misura dai palazzi, dai convegni o dai proclami, ma da come trattiamo chi non può restituire nulla se non amore.
Forse è poco.
Forse è tutto.

Luigi Palamara
Tutti I diritti riservati

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@luigi.palamara Il sabato sera di Reggio e quei cani che ci ricordano chi siamo davvero. L'Editoriale di Luigi Palamara È un segno dei tempi che non troverete nelle statistiche né nei comunicati ministeriali: lo si vede il sabato sera, quando la città si sgranchisce le ossa e la gente prova a dimenticare, almeno per qualche ora, le sue piccole e grandi miserie. A Reggio Calabria questo segno cammina su quattro zampe. Osservare tanti cani passeggiare lungo le vie del centro non è solo un fatto di costume: è una dichiarazione. È il termometro di una società che, smarrita fra rumori, schermi e solitudini, trova rifugio nell’unica creatura che non mente mai: il cane. Io, che ho visto generazioni intere cercare conforto nelle ideologie e poi negli slogan, oggi li vedo cercarlo in qualcosa di più semplice e più vero. E francamente non so se sia un passo avanti o un ritorno all’essenziale. Forse entrambe le cose. Nei pressi della libreria Ave—la più antica della città, che resiste come una trincea di carta e dignità—abbiamo incrociato Arthur e Berto, due splendidi cani che sembrano usciti da un romanzo di famiglia: sguardo fiero, passo sicuro, la nobiltà silenziosa di chi non ha bisogno di dimostrar nulla. Lì, in quel piccolo crocevia di storie che Fabio Saraceno riesce a trasformare ogni sera in un evento, c’era una folgorazione: gli umani e i loro fedeli compagni condividono uno spazio, un’aria, un sorriso. E qui interviene la voce che mi piace molto: la verità è che questi animali non addolciscono il mondo—lo smascherano. Ci ricordano chi siamo quando smettiamo di recitare. Con loro non esistono le pose, le battute pronte, le facce da circostanza. Esiste la sincerità pura, elementare, a volte brutale, sempre leale. Stare lì, in mezzo a quel miscuglio di fedeltà, empatia e sorrisi, è stato bello. Sì, per me certamente. Ma anche per una città che, nel riflesso lucido degli occhi dei cani, ritrova qualcosa che aveva perso: la capacità di essere comunità senza bisogno di proclami. E allora, in un sabato sera qualunque, Reggio Calabria ci ha ricordato che la civiltà non si misura dai palazzi, dai convegni o dai proclami, ma da come trattiamo chi non può restituire nulla se non amore. Forse è poco. Forse è tutto. Luigi Palamara Tutti I diritti riservati #cane #reggiocalabria #fedeltà #editoriale #luigipalamara ♬ original sound - CsnPiano

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