La solitudine dei giusti
L'Editoriale di Luigi Palamara
Sono deluso. Amareggiato. Non lo dico per cercare compassione, ma per onestà verso me stesso. È proprio vero: quando arriva la difficoltà, resti solo. Gli altri si dileguano, come ombre alla prima luce dell’alba.
Chi credevi amico si defila, chi ti sorrideva adesso finge di non vederti. E allora mi torna alla mente un insegnamento antico, semplice e severo, di mio padre: non basarti mai sugli altri.
Cerca in te la forza di credere in ciò che fai, e difendi le tue scelte — soprattutto quando sono oneste, leali, vere. Perché basarsi sugli altri è come poggiare il piede sul vuoto: alla prima scossa, crolla tutto.
Sì, questo mi addolora. Ma insieme mi rende più forte. Le ferite, col tempo, diventano corazza. E chi ha provato a intimidirmi non ha fatto che rendermi più saldo. Presto, nei prossimi giorni, racconterò tutto, nei dettagli.
Eppure, pur sentendomi sereno, non posso negare di avvertire attorno a me un silenzio pesante. Una mancanza di solidarietà che stride. Per molto meno si sono visti clamori, indignazioni, sdegni di facciata. Ma si vede che è più comodo far rumore per chi non disturba, per chi non conta nulla.
Chi invece dà fastidio, chi rappresenta una coscienza scomoda, diventa ingombrante, e allora si preferisce ignorarlo.
Mi rivolgo a chi ancora mi stima, a chi si considera amico: fatevi sentire, ora o mai più. Non per me, ma per un principio. Il silenzio è la più vigliacca delle complicità.
E a chi pavido resta senza posizione, incerto, pronto a voltarsi dall’altra parte: sappia che da oggi tra noi non ci sarà più nulla. Solo il mio disprezzo.
Non per rancore, ma per giustizia. Perché il coraggio non è una parola, è un gesto che si compie quando costa.
Luigi Palamara
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