Partinico, la politica e la vergogna

Partinico, la politica e la vergogna
L'Editoriale di Luigi Palamara 

Ci sono luoghi in Italia dove la parola politica è diventata un suono stanco, svuotato, come un campanile che rintocca ma non annuncia più niente. Uno di questi luoghi è Partinico, cittadina del Palermitano che negli ultimi giorni si è ritrovata, suo malgrado, al centro di una scena antica come la miseria morale: quella in cui l’uomo pubblico dimentica di essere uomo, prima ancora che pubblico.

L’episodio lo conosciamo: un consigliere comunale, Gaspare Anzelmo, che aggredisce verbalmente — e non solo — il giornalista Pino Maniaci, figura controversa ma simbolo di quella Sicilia che ancora osa dire i nomi e raccontare i fatti. Poi, le scuse, l’incontro, il video, e infine le dimissioni. Tutto consumato nel giro di poche ore, in un teatro dove la decenza si presenta solo dopo che il sipario è già caduto.

Ma qui non interessa la cronaca. Interessa la malattia morale che questa vicenda mette a nudo: l’assuefazione alla rissa, la perdita del pudore, l’idea ormai diffusa che la violenza sia una lingua accettabile del confronto civile.

«L’Italia è un Paese dove tutti vogliono comandare e nessuno vuole servire». E la politica, a Partinico come altrove, è diventata il palcoscenico dei piccoli ego, non il laboratorio del bene comune. L’istituzione non è più tempio, ma mercato; la parola non è più idea, ma rumore.

In questo scenario, le dimissioni del consigliere Anzelmo non sono un atto politico: sono un gesto umano. Forse tardivo, forse obbligato, ma umano. E questo, in tempi di barbarie amministrativa, è già molto. Perché il coraggio di dire “mi fermo” non è debolezza: è riconoscimento della misura, quella virtù che abbiamo smarrito.

Ma l’atto di coscienza individuale non basta a lavare la colpa collettiva. Perché dietro quell’aggressione, dietro quel pugno simbolico all’informazione libera, si nasconde il volto di un’intera classe politica che ha smarrito l’educazione alla responsabilità.
Un sindaco che — come denuncia Maniaci — usa la violenza come argomento, un consiglio comunale che tollera la volgarità come metodo, un clima di rissa permanente dove la parola “etica” fa ridere.
È questa, la nuova mediocrità che governa molti angoli del nostro Paese: la mediocrità che non legge, non ascolta, non pensa. E soprattutto, non si vergogna.

 “La dignità non è un lusso, è un dovere”.
E in questa storia, la dignità è la grande assente: quella dell’aggressore, certo, ma anche quella di una città che da anni sopporta, silenziosa, la trasformazione della politica in taverna.

E poi c’è Pino Maniaci, il “San Giovanni che grida nel deserto” — come lui stesso si definisce — e che, con tutti i suoi difetti, rappresenta qualcosa che abbiamo dimenticato: il diritto di disturbare, di denunciare, di essere voce scomoda. Maniaci non è un santo, e non ha mai preteso di esserlo. Ma in un Paese dove l’omertà è ancora considerata prudenza, chi rompe il silenzio diventa automaticamente colpevole.

E allora eccoci qui, a commentare l’ennesimo episodio di degrado civico come fosse una parentesi, una “giornata storta”. No, non è una parentesi: è la norma. È il livello a cui siamo scesi.
E la vera domanda non è perché un consigliere comunale abbia perso la calma, ma perché noi — cittadini, elettori, osservatori — abbiamo perso la vergogna di pretendere la decenza.

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”.
Ecco: a Partinico l’aria è pesante. Puzza di potere, di paura, di piccole vendette.
Eppure da quella puzza può ancora nascere qualcosa di pulito, se qualcuno — come Maniaci, o come pochi altri — continua a respirare senza tappare il naso.

Forse la lezione di questa storia è che la politica non è fatta per chi ha i nervi fragili o l’ego debole. È fatta per chi ha spalle larghe e cuore pulito. E che la libertà di stampa, per quanto scomoda, è l’ultima frontiera della democrazia.

Partinico, oggi, è uno specchio dell’Italia: arrabbiata, divisa, smarrita.
Ma se da quell’episodio, da quella vergogna, nascerà anche solo un grammo di autocoscienza collettiva, allora le dimissioni di Gaspare Anzelmo non saranno state vane.
Perché:
 “Non si muore per quello che si fa, ma per quello che si accetta.”

E accettare la violenza — anche quella verbale, anche quella istituzionale — è la forma più subdola di complicità.

Luigi Palamara 
Tutti i diritti riservati
@luigi.palamara

Partinico, la politica e la vergogna L'Editoriale di Luigi Palamara Ci sono luoghi in Italia dove la parola politica è diventata un suono stanco, svuotato, come un campanile che rintocca ma non annuncia più niente. Uno di questi luoghi è Partinico, cittadina del Palermitano che negli ultimi giorni si è ritrovata, suo malgrado, al centro di una scena antica come la miseria morale: quella in cui l’uomo pubblico dimentica di essere uomo, prima ancora che pubblico. L’episodio lo conosciamo: un consigliere comunale, Gaspare Anzelmo, che aggredisce verbalmente — e non solo — il giornalista Pino Maniaci, figura controversa ma simbolo di quella Sicilia che ancora osa dire i nomi e raccontare i fatti. Poi, le scuse, l’incontro, il video, e infine le dimissioni. Tutto consumato nel giro di poche ore, in un teatro dove la decenza si presenta solo dopo che il sipario è già caduto. Ma qui non interessa la cronaca. Interessa la malattia morale che questa vicenda mette a nudo: l’assuefazione alla rissa, la perdita del pudore, l’idea ormai diffusa che la violenza sia una lingua accettabile del confronto civile. «L’Italia è un Paese dove tutti vogliono comandare e nessuno vuole servire». E la politica, a Partinico come altrove, è diventata il palcoscenico dei piccoli ego, non il laboratorio del bene comune. L’istituzione non è più tempio, ma mercato; la parola non è più idea, ma rumore. In questo scenario, le dimissioni del consigliere Anzelmo non sono un atto politico: sono un gesto umano. Forse tardivo, forse obbligato, ma umano. E questo, in tempi di barbarie amministrativa, è già molto. Perché il coraggio di dire “mi fermo” non è debolezza: è riconoscimento della misura, quella virtù che abbiamo smarrito. Ma l’atto di coscienza individuale non basta a lavare la colpa collettiva. Perché dietro quell’aggressione, dietro quel pugno simbolico all’informazione libera, si nasconde il volto di un’intera classe politica che ha smarrito l’educazione alla responsabilità. Un sindaco che — come denuncia Maniaci — usa la violenza come argomento, un consiglio comunale che tollera la volgarità come metodo, un clima di rissa permanente dove la parola “etica” fa ridere. È questa, la nuova mediocrità che governa molti angoli del nostro Paese: la mediocrità che non legge, non ascolta, non pensa. E soprattutto, non si vergogna. “La dignità non è un lusso, è un dovere”. E in questa storia, la dignità è la grande assente: quella dell’aggressore, certo, ma anche quella di una città che da anni sopporta, silenziosa, la trasformazione della politica in taverna. E poi c’è Pino Maniaci, il “San Giovanni che grida nel deserto” — come lui stesso si definisce — e che, con tutti i suoi difetti, rappresenta qualcosa che abbiamo dimenticato: il diritto di disturbare, di denunciare, di essere voce scomoda. Maniaci non è un santo, e non ha mai preteso di esserlo. Ma in un Paese dove l’omertà è ancora considerata prudenza, chi rompe il silenzio diventa automaticamente colpevole. E allora eccoci qui, a commentare l’ennesimo episodio di degrado civico come fosse una parentesi, una “giornata storta”. No, non è una parentesi: è la norma. È il livello a cui siamo scesi. E la vera domanda non è perché un consigliere comunale abbia perso la calma, ma perché noi — cittadini, elettori, osservatori — abbiamo perso la vergogna di pretendere la decenza. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”. Ecco: a Partinico l’aria è pesante. Puzza di potere, di paura, di piccole vendette. Eppure da quella puzza può ancora nascere qualcosa di pulito, se qualcuno — come Maniaci, o come pochi altri — continua a respirare senza tappare il naso. Forse la lezione di questa storia è che la politica non è fatta per chi ha i nervi fragili o l’ego debole. È fatta per chi ha spalle larghe e cuore pulito. E che la libertà di stampa, per quanto scomoda, è l’ultima frontiera della democrazia. Partinico, oggi, è uno specchio dell’Italia: arrabbiata, divisa, smarrita. Ma se da quell’ep

♬ suono originale - Luigi Palamara

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