Reggio e il suo Sindaco: fine di un’epoca tra ingratitudine e paradossi

Reggio e il suo Sindaco: fine di un’epoca tra ingratitudine e paradossi
L'Editoriale di Luigi Palamara


Per raccontare Giuseppe Falcomatà bisognerebbe avere il tempo di un’epica e lo spazio di un romanzo. Undici anni: un lampo. Dal 2014 al 2025, una corsa che ha visto un giovane Sindaco caricarsi sulle spalle una Reggio Calabria uscita dal commissariamento come un malato ancora sotto flebo. Eppure lui, cocciuto come sanno esserlo i meridionali che credono nella loro città più di quanto essa creda in se stessa, ha tirato avanti.

Falcomatà ci ha provato. Ha tentato tutto. Ha cambiato assessori, vice, delegati, come un generale che sposta reparti sul fronte nella speranza di trovare i soldati giusti. Ma molti, moltissimi, si sono sciolti come neve al sole. E allora viene il sospetto che il problema non fosse solo il comandante, ma l’esercito. Perché  la politica è una guerra di trincea dove il materiale umano conta più delle strategie.

E invece eccoli lì, gli ex assessori, gli ex consiglieri, gli ex fedelissimi: un’armata Brancaleone che dalla maggioranza è migrata verso l’opposizione, fino a rappresentarne paradossalmente la parte più numerosa. Un ossimoro vivente, un capolavoro di incoerenza. Il salto della quaglia è sport nazionale, ma a Reggio Calabria ha assunto le dimensioni di un’olimpiade.

Le accuse a Falcomatà? Le solite: è egoista, non fa squadra, non condivide. È la versione di chi è rimasto fuori dalla porta e, non trovando un perché alle proprie incapacità, preferisce attribuirle al padrone di casa. La contro-narrazione, più aderente ai fatti, dice un’altra cosa: che il livello politico che lo ha circondato era così modesto da non riuscire a tenere il passo con una figura che, piaccia o no, ha fiuto, pedigree e testardaggine. Perché sì, Falcomatà è figlio di Italo, e il buon sangue non mente. Ed Italo è felice.

Ed eccoci all’ultimo scivolone: un documento partorito da una parte del PD, talmente inconsistente da meritare l’etichetta di “carta straccia”. Un gesto piccolo, piccolissimo. Soprattutto a pochi mesi dalla conclusione del mandato. Sembrava impossibile scendere più in basso in termini di stile e di senso istituzionale, ma la politica - quella di oggi, quella "dei pavidi e degli improvvisati" - riesce sempre a sorprenderci. In negativo.

Vedere Falcomatà uscire da Palazzo San Giorgio - e per fortuna non dalla politica - è un po’ come apprendere che non potremo più vedere giocare Maradona. Un pezzo di storia che se ne va, la certezza che lo spettacolo non sarà più lo stesso.

Avrebbe meritato rispetto. Non adorazione, non applausi, non santificazioni: rispetto. Quello che si concede a chi ci ha messo la faccia per undici anni, nel bene e nel male. Ma il rispetto, oggi, sembra merce rara quanto il coraggio.

Noi lo raccontiamo come lo abbiamo visto, vissuto e scritto. Perché scripta manent, mentre i documenti politici - quelli deboli, confusi e figli dell’ingratitudine - volant. E spariscono, come meritano, nel vento.

Luigi Palamara
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Reggio Calabria 29 novembre 2025

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