Sinner, Alcaraz e la sacra arte dell’avversario

Sinner, Alcaraz e la sacra arte dell’avversario
L'Editoriale di Luigi Palamara


Dal tennis alla boxe, il passo è breve.
E non perché Jannik Sinner e Carlos Alcaraz si scambino colpi che somigliano più a ganci che a rovesci, ma perché in quel rettangolo di gioco – bianco come un ring, solitario come una confessione – ci si affronta con la stessa brutale sincerità che un pugile vede negli occhi del suo avversario.

"Nel duello fra due uomini si misura la stoffa di un’epoca".
Lo scontro vero non è mai una faccenda elegante: è sudore, orgoglio, denti stretti.
E loro due, Sinner e Alcaraz, questa stoffa ce l’hanno addosso come una seconda pelle.

Se le danno di santa ragione, e meno male.

In campo non si risparmiano nulla.
Colpiscono come se ogni palla fosse un manifesto d’intenti, uno sgarro personale, un giuramento da mantenere.
Eppure, nella vita, sono amici veri.
Non compagni di facciata, non diplomazie da circolo esclusivo: amici, punto.

Una cosa che oggi, in un mondo dove l’invidia corre più veloce delle gambe, sembra quasi rivoluzionaria.

Lo sport senza avversari è un monologo.

Il tennis – come qualunque altro sport degno di questo nome – senza rivali all’altezza diventa monotonia, si spegne, si siede.
Un campione che non trova chi lo costringa al limite non è un campione: è un principe annoiato nel suo palazzo.

Sinner e Alcaraz, invece, hanno dato una frustata al tennis contemporaneo.
Lo hanno reso vivo, vibrante, imperfetto e dunque umano.
Con loro il tennis è tornato a essere ciò che deve essere: sport, ma anche arte, e perfino poesia.
Una poesia che non si legge, ma si attraversa.
Una poesia fatta di pesi, traiettorie, respiri trattenuti.

In un’epoca in cui tutti cercano di piacere a tutti, loro due mostrano che il rispetto non nasce dal complimento, ma dal confronto.
Che l’amicizia non è diplomazia, ma riconoscimento reciproco del proprio valore.
Che la grandezza ha sempre bisogno di un contrappeso. La rivalità nobilita.

È grazie a Sinner che Alcaraz diventa Alcaraz.
Ed è grazie ad Alcaraz che Sinner diventa Sinner.

Così funziona nelle storie che contano.

Non vincerà sempre lo stesso. Ma vincerà il tennis.

Loro non stanno costruendo solo carriere: stanno costruendo una narrazione, una leggenda.
E come nelle migliori narrazioni, non conta chi travolgerà l’altro domani, la prossima stagione o fra dieci anni.

Conta che mentre si sfidano, ci ricordano una cosa che abbiamo dimenticato:
che la competizione è il sale della vita,
che l’avversario è un maestro travestito,
che la bellezza nasce sempre da un duello.

E che in fondo non c’è niente di più vero di due uomini che si affrontano senza odio e poi si stringono la mano senza ipocrisia.

Luigi Palamara
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