L’albero che parla alla città

L’albero che parla alla città
L'Editoriale di Luigi Palamara


Sotto l’albero di Piazza Duomo, ieri sera, Reggio Calabria ha respirato un attimo di sospensione: un soffio di luce che, come spesso accade nei momenti simbolici, riesce a dire più di mille discorsi ufficiali. È bastato un conto alla rovescia – dieci secondi appena – e la città si è trovata proiettata in quella fragile meraviglia che appartiene al Natale. Un albero che si accende, un boato di stupore dei bambini, un sorriso rubato ai passanti, il vento che porta via le parole e le restituisce come una preghiera.

Reggio Calabria come Betlemme, si è detto. E non è solo un’immagine poetica: è la dichiarazione di un desiderio collettivo, quasi un’urgenza. Stesso albero, stessa luce, stesse anime. Anime che cercano, nel tumulto dei tempi, un punto fermo. Una certezza che non esiste più nella politica, né nelle cronache, e forse nemmeno nelle relazioni umane. Ma che, ostinatamente, resiste in quella notte che l’Occidente non ha mai smesso di chiamare “Santa”.

Lì, tra madri che stringono le mani dei figli, padri che immortalano l’istante con un telefono, nonni che sorridono come se il tempo avesse rallentato per loro, si è fatto largo il Sindaco Giuseppe Falcomatà. L’ultimo suo Natale da primo cittadino. Undici anni sulle spalle: undici anni di volti, errori, visioni, battaglie, e quell’innegabile solitudine che abita ogni uomo delle istituzioni. È apparso emozionato, quasi disarmato. Con accanto la moglie Giovanna, e i suoi figli Marco e Italo, sembrava più un padre che una figura pubblica. Più un uomo che saluta un ciclo della propria vita, accorgendosi che il tempo dei bilanci non è mai così lontano come vorremmo.

E poi la “famiglia allargata”, come lui ama chiamarla: quella cittadinanza spesso rumoreggiante, spesso esigente, a volte ingrata, ma pur sempre sua. Nessuno escluso. Una moltitudine che ieri sera, almeno per un istante, si è riscoperta comunità. Una parola che oggi, nel mondo frantumato che ci circonda, suona quasi rivoluzionaria.

La piazza ha risposto con gentilezza. Un termine semplice, quasi banale, ma che nelle nostre epoche sgarbate vale come un atto di coraggio. Gentilezza e sorrisi: ecco ciò che resta quando tutto il resto sembra crollare. Perché il Natale questo dovrebbe essere. Una tregua. Un ritorno alla nascita, nel senso più originario e universale del termine: nascita di speranza, di pace, di grazia umana.

Chi non riesce a viverla, questa tregua, va sostenuto. Non compatito: aiutato. Perché la pace non è una poesia da recitare a capo chino—la pace è un lavoro, un impegno, una disciplina del cuore. Le guerre non finiscono solo sui tavoli delle trattative; finiscono quando gli uomini decidono che il proprio vicino non è un nemico, che la dignità altrui vale quanto la propria, che l’odio è una malattia contagiosa che si può fermare soltanto con un atto di volontà.

E allora sì, quell’albero che rievoca Betlemme non è un caso. Forse è un monito. Forse è un invito. Forse è un richiamo alle nostre responsabilità di esseri umani.

Il mondo è uno. Uno solo. E non lo ereditiamo per distruggerlo, ma per custodirlo come un bene fragile, prezioso, unico. “Scambiatevi un segno di pace”, dice il celebrante durante la Messa. È il passaggio che più somiglia a un ponte tra ciò che diciamo e ciò che dovremmo essere. E allora perché non portarlo per le strade? Perché non praticarlo nelle case, nei mercati, nei luoghi dove abitano i conflitti quotidiani?

Che la pace sia con noi, dunque. Ma soprattutto: che noi siamo capaci di meritarla.

“che la pace sia con noi” non è un saluto: è una responsabilità. Una promessa che la città fa a se stessa, sotto una luce che, per una sera, ha parlato con voce antica.

Luigi Palamara
Giornalista e Artista
Aspromontàno

Reggio Calabria 6 dicembre 2025

#accensioneluci
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@luigi.palamara L’albero che parla alla città L'Editoriale di Luigi Palamara Sotto l’albero di Piazza Duomo, ieri sera, Reggio Calabria ha respirato un attimo di sospensione: un soffio di luce che, come spesso accade nei momenti simbolici, riesce a dire più di mille discorsi ufficiali. È bastato un conto alla rovescia – dieci secondi appena – e la città si è trovata proiettata in quella fragile meraviglia che appartiene al Natale. Un albero che si accende, un boato di stupore dei bambini, un sorriso rubato ai passanti, il vento che porta via le parole e le restituisce come una preghiera. Reggio Calabria come Betlemme, si è detto. E non è solo un’immagine poetica: è la dichiarazione di un desiderio collettivo, quasi un’urgenza. Stesso albero, stessa luce, stesse anime. Anime che cercano, nel tumulto dei tempi, un punto fermo. Una certezza che non esiste più nella politica, né nelle cronache, e forse nemmeno nelle relazioni umane. Ma che, ostinatamente, resiste in quella notte che l’Occidente non ha mai smesso di chiamare “Santa”. Lì, tra madri che stringono le mani dei figli, padri che immortalano l’istante con un telefono, nonni che sorridono come se il tempo avesse rallentato per loro, si è fatto largo il Sindaco Giuseppe Falcomatà. L’ultimo suo Natale da primo cittadino. Undici anni sulle spalle: undici anni di volti, errori, visioni, battaglie, e quell’innegabile solitudine che abita ogni uomo delle istituzioni. È apparso emozionato, quasi disarmato. Con accanto la moglie Giovanna, e i suoi figli Marco e Italo, sembrava più un padre che una figura pubblica. Più un uomo che saluta un ciclo della propria vita, accorgendosi che il tempo dei bilanci non è mai così lontano come vorremmo. E poi la “famiglia allargata”, come lui ama chiamarla: quella cittadinanza spesso rumoreggiante, spesso esigente, a volte ingrata, ma pur sempre sua. Nessuno escluso. Una moltitudine che ieri sera, almeno per un istante, si è riscoperta comunità. Una parola che oggi, nel mondo frantumato che ci circonda, suona quasi rivoluzionaria. La piazza ha risposto con gentilezza. Un termine semplice, quasi banale, ma che nelle nostre epoche sgarbate vale come un atto di coraggio. Gentilezza e sorrisi: ecco ciò che resta quando tutto il resto sembra crollare. Perché il Natale questo dovrebbe essere. Una tregua. Un ritorno alla nascita, nel senso più originario e universale del termine: nascita di speranza, di pace, di grazia umana. Chi non riesce a viverla, questa tregua, va sostenuto. Non compatito: aiutato. Perché la pace non è una poesia da recitare a capo chino—la pace è un lavoro, un impegno, una disciplina del cuore. Le guerre non finiscono solo sui tavoli delle trattative; finiscono quando gli uomini decidono che il proprio vicino non è un nemico, che la dignità altrui vale quanto la propria, che l’odio è una malattia contagiosa che si può fermare soltanto con un atto di volontà. E allora sì, quell’albero che rievoca Betlemme non è un caso. Forse è un monito. Forse è un invito. Forse è un richiamo alle nostre responsabilità di esseri umani. Il mondo è uno. Uno solo. E non lo ereditiamo per distruggerlo, ma per custodirlo come un bene fragile, prezioso, unico. “Scambiatevi un segno di pace”, dice il celebrante durante la Messa. È il passaggio che più somiglia a un ponte tra ciò che diciamo e ciò che dovremmo essere. E allora perché non portarlo per le strade? Perché non praticarlo nelle case, nei mercati, nei luoghi dove abitano i conflitti quotidiani? Che la pace sia con noi, dunque. Ma soprattutto: che noi siamo capaci di meritarla. “che la pace sia con noi” non è un saluto: è una responsabilità. Una promessa che la città fa a se stessa, sotto una luce che, per una sera, ha parlato con voce antica. Luigi Palamara Giornalista e Artista Aspromontàno Reggio Calabria 6 dicembre 2025 #accensioneluci #piazzaduomo #reggiocalabria #giuseppefalcomatà #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara
@luigi.palamara L’albero che parla alla città L'Editoriale di Luigi Palamara Sotto l’albero di Piazza Duomo, ieri sera, Reggio Calabria ha respirato un attimo di sospensione: un soffio di luce che, come spesso accade nei momenti simbolici, riesce a dire più di mille discorsi ufficiali. È bastato un conto alla rovescia – dieci secondi appena – e la città si è trovata proiettata in quella fragile meraviglia che appartiene al Natale. Un albero che si accende, un boato di stupore dei bambini, un sorriso rubato ai passanti, il vento che porta via le parole e le restituisce come una preghiera. Reggio Calabria come Betlemme, si è detto. E non è solo un’immagine poetica: è la dichiarazione di un desiderio collettivo, quasi un’urgenza. Stesso albero, stessa luce, stesse anime. Anime che cercano, nel tumulto dei tempi, un punto fermo. Una certezza che non esiste più nella politica, né nelle cronache, e forse nemmeno nelle relazioni umane. Ma che, ostinatamente, resiste in quella notte che l’Occidente non ha mai smesso di chiamare “Santa”. Lì, tra madri che stringono le mani dei figli, padri che immortalano l’istante con un telefono, nonni che sorridono come se il tempo avesse rallentato per loro, si è fatto largo il Sindaco Giuseppe Falcomatà. L’ultimo suo Natale da primo cittadino. Undici anni sulle spalle: undici anni di volti, errori, visioni, battaglie, e quell’innegabile solitudine che abita ogni uomo delle istituzioni. È apparso emozionato, quasi disarmato. Con accanto la moglie Giovanna, e i suoi figli Marco e Italo, sembrava più un padre che una figura pubblica. Più un uomo che saluta un ciclo della propria vita, accorgendosi che il tempo dei bilanci non è mai così lontano come vorremmo. E poi la “famiglia allargata”, come lui ama chiamarla: quella cittadinanza spesso rumoreggiante, spesso esigente, a volte ingrata, ma pur sempre sua. Nessuno escluso. Una moltitudine che ieri sera, almeno per un istante, si è riscoperta comunità. Una parola che oggi, nel mondo frantumato che ci circonda, suona quasi rivoluzionaria. La piazza ha risposto con gentilezza. Un termine semplice, quasi banale, ma che nelle nostre epoche sgarbate vale come un atto di coraggio. Gentilezza e sorrisi: ecco ciò che resta quando tutto il resto sembra crollare. Perché il Natale questo dovrebbe essere. Una tregua. Un ritorno alla nascita, nel senso più originario e universale del termine: nascita di speranza, di pace, di grazia umana. Chi non riesce a viverla, questa tregua, va sostenuto. Non compatito: aiutato. Perché la pace non è una poesia da recitare a capo chino—la pace è un lavoro, un impegno, una disciplina del cuore. Le guerre non finiscono solo sui tavoli delle trattative; finiscono quando gli uomini decidono che il proprio vicino non è un nemico, che la dignità altrui vale quanto la propria, che l’odio è una malattia contagiosa che si può fermare soltanto con un atto di volontà. E allora sì, quell’albero che rievoca Betlemme non è un caso. Forse è un monito. Forse è un invito. Forse è un richiamo alle nostre responsabilità di esseri umani. Il mondo è uno. Uno solo. E non lo ereditiamo per distruggerlo, ma per custodirlo come un bene fragile, prezioso, unico. “Scambiatevi un segno di pace”, dice il celebrante durante la Messa. È il passaggio che più somiglia a un ponte tra ciò che diciamo e ciò che dovremmo essere. E allora perché non portarlo per le strade? Perché non praticarlo nelle case, nei mercati, nei luoghi dove abitano i conflitti quotidiani? Che la pace sia con noi, dunque. Ma soprattutto: che noi siamo capaci di meritarla. “che la pace sia con noi” non è un saluto: è una responsabilità. Una promessa che la città fa a se stessa, sotto una luce che, per una sera, ha parlato con voce antica. Luigi Palamara Giornalista e Artista Aspromontàno Reggio Calabria 6 dicembre 2025 #accensioneluci #piazzaduomo #reggiocalabria #giuseppefalcomatà #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara
@luigi.palamara HIGHLIGHTS Accensione luci albero di Natale a Piazza Duomo insieme a Giuseppe Falcomatà Sindaco di Reggio Calabria. #accensioneluci #alberodinatale #giuseppefalcomatà #reggiocalabria #piazzaduomo ♬ All of My Life (2016 Remaster) - Phil Collins
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