Quando la vita finisce in classifica: l’Italia che si illude di misurare l’inmisurabile

Quando la vita finisce in classifica: l’Italia che si illude di misurare l’inmisurabile
L'Editoriale di Luigi Palamara


Arrivs un momento dell’anno, puntuale come l’ora legale e la stagione delle piogge, in cui l’Italia civile si risveglia in un fragoroso coro di indignazioni, trionfi e lamentele. È il giorno della classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita. Una graduatoria che pretende di dire, con la chiarezza di un algoritmo e la sicumera di un oracolo, dove si viva bene e dove si viva male.

Ed è sorprendente — o forse no — come l’intero Paese, dalla Val d’Aosta alle ultime spiagge calabresi, si metta sull’attenti.
Chi sta in alto festeggia come se avesse conquistato una medaglia olimpica.
Chi finisce in fondo invoca complotti, ritardi infrastrutturali, ingiustizie del destino o del governo.

E così, quest’anno, Reggio Calabria viene nuovamente consegnata all’ultimo posto, con la stessa solennità con cui si annuncerebbe una retrocessione in serie Z. Pare quasi di vedere un plotone d’esecuzione statistico, che punta il dito contro una città che da millenni sopravvive a terremoti, invasioni, mafie, crisi economiche e perfino ai propri amministratori.

Ma chi confonde l’ultimo posto con il marchio dell’infamia dimostra di non aver capito né questa classifica, né l’Italia.
Perché — diciamolo chiaramente — una graduatoria non è un giudizio di civiltà. È un esercizio accademico mascherato da verità assoluta. Un elenco di numerini che pretendono di misurare la vita come si pesa un sacco di patate.

La vita, però, non è un sacco di patate.
E nemmeno un grafico.

Il Sole 24 Ore mette insieme indicatori diversi come il tasso di criminalità e quello di natalità, i consumi delle famiglie e la qualità dell’aria, il reddito medio e i posti al cinema. I risultati sono una minestra statistica che serve più a scaldare le discussioni da bar che a descrivere la realtà.

E mentre Trento si gode l’ennesima corona di provincia-modello, viene voglia di chiedere:
Ma chi l’ha deciso che vivere bene significa questo?
I numeri?
Le tabelle?
Le percentuali?

Per quello che mi riguarda la risposta è semplice: diffidare sempre dei santoni della statistica e ascoltare prima l’odore delle strade, il passo della gente, il colore della luce.
“L’Italia vera non sta negli indicatori, ma nelle rughe dei suoi abitanti”.

Così, mentre la stampa si accapiglia sull’ultimo posto di Reggio Calabria, sarebbe bene ricordare che esistono città “ultime” che custodiscono un’umanità che le regioni di testa spesso hanno smarrito nel benessere. E città “prime” che, dietro le vetrine del loro splendore, nascondono solitudini e nevrosi che nessun indice misura.

La verità è che questa classifica serve a una cosa sola: far parlare. Creare scalpore, discussione, contrapposizioni. Dare in pasto al Paese un rito annuale che lo faccia sentire moderno, misurabile, competitivo.

Ma la vita — quella vera — non entra in un foglio Excel.
Non la ordini in graduatoria.
Non le dai un voto da 1 a 107.

E se proprio dobbiamo dirla tutta, allora diciamola:
il primato non rende migliori, e l’ultimo posto non rende peggiori.
Gli italiani lo sanno bene.
Ma, ogni anno, fingono di dimenticarlo. Perché il dibattito, si sa, vale più della verità.

Luigi Palamara
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 1 dicembre 2025

#reggiocalabria #editoriale #luigipalamara

@luigi.palamara Quando la vita finisce in classifica: l’Italia che si illude di misurare l’inmisurabile L'Editoriale di Luigi Palamara Arriva un momento dell’anno, puntuale come l’ora legale e la stagione delle piogge, in cui l’Italia civile si risveglia in un fragoroso coro di indignazioni, trionfi e lamentele. È il giorno della classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita. Una graduatoria che pretende di dire, con la chiarezza di un algoritmo e la sicumera di un oracolo, dove si viva bene e dove si viva male. Ed è sorprendente — o forse no — come l’intero Paese, dalla Val d’Aosta alle ultime spiagge calabresi, si metta sull’attenti. Chi sta in alto festeggia come se avesse conquistato una medaglia olimpica. Chi finisce in fondo invoca complotti, ritardi infrastrutturali, ingiustizie del destino o del governo. E così, quest’anno, Reggio Calabria viene nuovamente consegnata all’ultimo posto, con la stessa solennità con cui si annuncerebbe una retrocessione in serie Z. Pare quasi di vedere un plotone d’esecuzione statistico, che punta il dito contro una città che da millenni sopravvive a terremoti, invasioni, mafie, crisi economiche e perfino ai propri amministratori. Ma chi confonde l’ultimo posto con il marchio dell’infamia dimostra di non aver capito né questa classifica, né l’Italia. Perché — diciamolo chiaramente — una graduatoria non è un giudizio di civiltà. È un esercizio accademico mascherato da verità assoluta. Un elenco di numerini che pretendono di misurare la vita come si pesa un sacco di patate. La vita, però, non è un sacco di patate. E nemmeno un grafico. Il Sole 24 Ore mette insieme indicatori diversi come il tasso di criminalità e quello di natalità, i consumi delle famiglie e la qualità dell’aria, il reddito medio e i posti al cinema. I risultati sono una minestra statistica che serve più a scaldare le discussioni da bar che a descrivere la realtà. E mentre Trento si gode l’ennesima corona di provincia-modello, viene voglia di chiedere: Ma chi l’ha deciso che vivere bene significa questo? I numeri? Le tabelle? Le percentuali? Per quello che mi riguarda la risposta è semplice: diffidare sempre dei santoni della statistica e ascoltare prima l’odore delle strade, il passo della gente, il colore della luce. “L’Italia vera non sta negli indicatori, ma nelle rughe dei suoi abitanti”. Così, mentre la stampa si accapiglia sull’ultimo posto di Reggio Calabria, sarebbe bene ricordare che esistono città “ultime” che custodiscono un’umanità che le regioni di testa spesso hanno smarrito nel benessere. E città “prime” che, dietro le vetrine del loro splendore, nascondono solitudini e nevrosi che nessun indice misura. La verità è che questa classifica serve a una cosa sola: far parlare. Creare scalpore, discussione, contrapposizioni. Dare in pasto al Paese un rito annuale che lo faccia sentire moderno, misurabile, competitivo. Ma la vita — quella vera — non entra in un foglio Excel. Non la ordini in graduatoria. Non le dai un voto da 1 a 107. E se proprio dobbiamo dirla tutta, allora diciamola: il primato non rende migliori, e l’ultimo posto non rende peggiori. Gli italiani lo sanno bene. Ma, ogni anno, fingono di dimenticarlo. Perché il dibattito, si sa, vale più della verità. Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 1 dicembre 2025 #editoriale #luigipalamara #classifica #ilsole24ore #vivibilitàcittàitaliane ♬ suono originale - Luigi Palamara

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