Reggio, la città che a Natale si scopre greca
L'Editoriale di Luigi Palamara
Esiste un momento, nelle città del profondo Sud, in cui la retorica istituzionale cede il passo a qualcosa di più umano. Accade di rado. Ma quando succede, somiglia a certi squarci di luce d’inverno sullo Stretto: feroci, necessari.
Il Sindaco Giuseppe Falcomatà — che si avvia a chiudere la sua stagione amministrativa — ha presentato "Reggio Città Natale” con la disinvoltura di chi sa di essere agli ultimi giri di giostra e può permettersi una sincerità un po’ spavalda, un po’ malinconica.
Ha scherzato sulle luminarie “instagrammabili”, sui tormentoni dell’assessore Carmelo Romeo, sugli slogan partoriti con l'entusiasmo del consigliere Giovanni Latella che è passato dal “mangiare il cuore” al “donare il cuore”. Una metamorfosi degna di un romanzo di formazione, o forse semplicemente di un Natale al Sud, dove tutti invecchiamo all’improvviso e miglioriamo nostro malgrado.
E poi la promessa di un Capodanno che non sarà Rai — troppo lusso, troppa liturgia — ma sarà “Stai”. Stai a Reggio, come si direbbe a un amico: resta, ché qualcosa succederà.
E già questo, oggi, è quasi rivoluzionario.
Ma il momento più interessante è stato un altro: il Sindaco che racconta di studiare storia con suo figlio Italo.
Persiani, Greci, Peloponneso. E quel paradosso incandescente che i bambini colgono senza mediazioni: “Papà, perché se avevano creato la Lega per difendersi dai persiani poi si fanno la guerra tra di loro?”
È la domanda che ogni Paese civile dovrebbe temere.
Perché è una domanda da cui non si scappa.
A me personalmente viene da rispondere: perché gli uomini, spesso, sanno essere stupidi quanto basta a distruggere ciò che hanno costruito.
E con un po di sana ironia Aspromontana: perché siamo italiani, figli di mille campanili e padroni di nessuno.
Falcomatà, più modestamente, l’ha consegnata alla città come un interrogativo sospeso, quasi una resa: perché mai, in un luogo come Reggio Calabria, dove la bellezza è una condanna e un privilegio, dobbiamo farci la guerra tra di noi invece di costruire qualcosa insieme?
È facile liquidare questo appello come la solita predica di fine mandato. Reggio ne ha sentite troppe, e spesso da bocche meno lucide.
Eppure, nello sguardo di una città che si agghinda di luci mentre ancora inciampa nelle sue ombre, la domanda resta: perché, con un mare che potrebbe unire, scegliamo sempre la trincea più vicina?
Il Natale — quello vero, non la scenografia — non è un catalogo di eventi. È una tregua.
E Reggio, città greca prima ancora che italiana, dovrebbe sapere che non c’è nulla di più miserabile della guerra tra fratelli.
Se questo Natale saprà ricordarcelo, allora sì: forse resterà qualcosa.
Forse, per una volta, avremo davvero regalato il cuore.
Perché, come scriveva Corrado Alvaro, “la speranza è il pane delle anime povere”.
E Reggio, quando lo vuole, sa ancora nutrirsene.
Luigi Palamara
Artista e Giornalista
Tutti i diritti riservati
Reggio Calabria 3 dicembre 2025
#giuseppefalcomatà #reggiocalabria #politica #editoriale #luigipalamara
@luigi.palamara Reggio, la città che a Natale si scopre greca L'Editoriale di Luigi Palamara Esiste un momento, nelle città del profondo Sud, in cui la retorica istituzionale cede il passo a qualcosa di più umano. Accade di rado. Ma quando succede, somiglia a certi squarci di luce d’inverno sullo Stretto: feroci, necessari. Il Sindaco Giuseppe Falcomatà — che si avvia a chiudere la sua stagione amministrativa — ha presentato "Reggio Città Natale” con la disinvoltura di chi sa di essere agli ultimi giri di giostra e può permettersi una sincerità un po’ spavalda, un po’ malinconica. Ha scherzato sulle luminarie “instagrammabili”, sui tormentoni dell’assessore Carmelo Romeo, sugli slogan partoriti con l'entusiasmo del consigliere Giovanni Latella che è passato dal “mangiare il cuore” al “donare il cuore”. Una metamorfosi degna di un romanzo di formazione, o forse semplicemente di un Natale al Sud, dove tutti invecchiamo all’improvviso e miglioriamo nostro malgrado. E poi la promessa di un Capodanno che non sarà Rai — troppo lusso, troppa liturgia — ma sarà “Stai”. Stai a Reggio, come si direbbe a un amico: resta, ché qualcosa succederà. E già questo, oggi, è quasi rivoluzionario. Ma il momento più interessante è stato un altro: il Sindaco che racconta di studiare storia con suo figlio Italo. Persiani, Greci, Peloponneso. E quel paradosso incandescente che i bambini colgono senza mediazioni: “Papà, perché se avevano creato la Lega per difendersi dai persiani poi si fanno la guerra tra di loro?” È la domanda che ogni Paese civile dovrebbe temere. Perché è una domanda da cui non si scappa. A me personalmente viene da rispondere: perché gli uomini, spesso, sanno essere stupidi quanto basta a distruggere ciò che hanno costruito. E con un po di sana ironia Aspromontana: perché siamo italiani, figli di mille campanili e padroni di nessuno. Falcomatà, più modestamente, l’ha consegnata alla città come un interrogativo sospeso, quasi una resa: perché mai, in un luogo come Reggio Calabria, dove la bellezza è una condanna e un privilegio, dobbiamo farci la guerra tra di noi invece di costruire qualcosa insieme? È facile liquidare questo appello come la solita predica di fine mandato. Reggio ne ha sentite troppe, e spesso da bocche meno lucide. Eppure, nello sguardo di una città che si agghinda di luci mentre ancora inciampa nelle sue ombre, la domanda resta: perché, con un mare che potrebbe unire, scegliamo sempre la trincea più vicina? Il Natale — quello vero, non la scenografia — non è un catalogo di eventi. È una tregua. E Reggio, città greca prima ancora che italiana, dovrebbe sapere che non c’è nulla di più miserabile della guerra tra fratelli. Se questo Natale saprà ricordarcelo, allora sì: forse resterà qualcosa. Forse, per una volta, avremo davvero regalato il cuore. Perché, come scriveva Corrado Alvaro, “la speranza è il pane delle anime povere”. E Reggio, quando lo vuole, sa ancora nutrirsene. Luigi Palamara Artista e Giornalista Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 3 dicembre 2025 #giuseppefalcomatà #reggiocalabria #politica #editoriale #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara
@luigi.palamara Reggio, la città che a Natale si scopre greca L'Editoriale di Luigi Palamara Esiste un momento, nelle città del profondo Sud, in cui la retorica istituzionale cede il passo a qualcosa di più umano. Accade di rado. Ma quando succede, somiglia a certi squarci di luce d’inverno sullo Stretto: feroci, necessari. Il Sindaco Giuseppe Falcomatà — che si avvia a chiudere la sua stagione amministrativa — ha presentato "Reggio Città Natale” con la disinvoltura di chi sa di essere agli ultimi giri di giostra e può permettersi una sincerità un po’ spavalda, un po’ malinconica. Ha scherzato sulle luminarie “instagrammabili”, sui tormentoni dell’assessore Carmelo Romeo, sugli slogan partoriti con l'entusiasmo del consigliere Giovanni Latella che è passato dal “mangiare il cuore” al “donare il cuore”. Una metamorfosi degna di un romanzo di formazione, o forse semplicemente di un Natale al Sud, dove tutti invecchiamo all’improvviso e miglioriamo nostro malgrado. E poi la promessa di un Capodanno che non sarà Rai — troppo lusso, troppa liturgia — ma sarà “Stai”. Stai a Reggio, come si direbbe a un amico: resta, ché qualcosa succederà. E già questo, oggi, è quasi rivoluzionario. Ma il momento più interessante è stato un altro: il Sindaco che racconta di studiare storia con suo figlio Italo. Persiani, Greci, Peloponneso. E quel paradosso incandescente che i bambini colgono senza mediazioni: “Papà, perché se avevano creato la Lega per difendersi dai persiani poi si fanno la guerra tra di loro?” È la domanda che ogni Paese civile dovrebbe temere. Perché è una domanda da cui non si scappa. A me personalmente viene da rispondere: perché gli uomini, spesso, sanno essere stupidi quanto basta a distruggere ciò che hanno costruito. E con un po di sana ironia Aspromontana: perché siamo italiani, figli di mille campanili e padroni di nessuno. Falcomatà, più modestamente, l’ha consegnata alla città come un interrogativo sospeso, quasi una resa: perché mai, in un luogo come Reggio Calabria, dove la bellezza è una condanna e un privilegio, dobbiamo farci la guerra tra di noi invece di costruire qualcosa insieme? È facile liquidare questo appello come la solita predica di fine mandato. Reggio ne ha sentite troppe, e spesso da bocche meno lucide. Eppure, nello sguardo di una città che si agghinda di luci mentre ancora inciampa nelle sue ombre, la domanda resta: perché, con un mare che potrebbe unire, scegliamo sempre la trincea più vicina? Il Natale — quello vero, non la scenografia — non è un catalogo di eventi. È una tregua. E Reggio, città greca prima ancora che italiana, dovrebbe sapere che non c’è nulla di più miserabile della guerra tra fratelli. Se questo Natale saprà ricordarcelo, allora sì: forse resterà qualcosa. Forse, per una volta, avremo davvero regalato il cuore. Perché, come scriveva Corrado Alvaro, “la speranza è il pane delle anime povere”. E Reggio, quando lo vuole, sa ancora nutrirsene. Luigi Palamara Artista e Giornalista Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 3 dicembre 2025 #giuseppefalcomatà #reggiocalabria #politica #editoriale #luigipalamara ♬ suono originale - Luigi Palamara
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