Calabria, polvere e potere: se cade anche Occhiuto, resta solo l’ombra
Editoriale di Luigi Palamara
Di questi tempi, in Italia, la politica non cade più per colpi d’onore, ma per colpi di carta bollata. E in Calabria — terra dove la legalità cammina spesso in equilibrio sul filo del sospetto — il rumore di un’inchiesta ha più peso di un mandato popolare. Adesso, tocca a Roberto Occhiuto.
Presidente con l’aria dell’uomo risoluto, europeo di facciata e meridionale di nervi, Occhiuto è stato il volto “per bene” del centrodestra calabrese. Meno ruspante della Lega, più sobrio dei colonnelli meloniani, è riuscito nell’impresa di farsi accettare sia nei salotti romani sia tra le mulattiere della burocrazia locale. Ma si sa, in Calabria anche i santi inciampano.
Il rischio (presunto, per ora) di un’inchiesta seria — con la parola arresto che aleggia come una bestemmia detta piano — è uno di quei segnali che la politica ignora finché non le esplode in mano. E in una regione dove ogni euro speso ha il sapore di una concessione divina, i sospetti sono moneta corrente.
Non ci interessa qui sapere se Occhiuto sia innocente o colpevole. La giustizia faccia il suo corso — lo diciamo sempre, per abitudine. Ma la politica non può permettersi di restare alla finestra a guardare la diga crollare. Perché se anche questo “tecnico col sorriso” dovesse cadere, non resterebbe molto da raccogliere, né per Forza Italia né per la Calabria stessa.
Che poi, diciamocelo: non è solo Occhiuto ad essere sotto accusa. È l’idea che il Mezzogiorno possa essere governato senza clientele, senza padroni occulti, senza quel tanfo di rassegnazione che risale da ogni Comune con l’aria stanca di chi non crede più a nulla. Se fallisce anche lui, resta solo l’ombra di un potere che prometteva efficienza e si riscopre impastato nelle stesse vecchie logiche.
In Italia tutto cambia perché nulla cambi. In Calabria, invece, tutto resta com’è perché cambiare conviene a pochi. E intanto, il popolo aspetta. Con la pazienza dei condannati e la memoria corta degli offesi cronici.
Luigi Palamara
0 Commenti