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Luca Gallo, l’uomo che fece tremare la Reggina. Tra promesse, cadute e l’odore acre di un possibile ritorno

Luca Gallo, l’uomo che fece tremare la Reggina
Tra promesse, cadute e l’odore acre di un possibile ritorno
Editoriale di Luigi Palamara

C’è sempre un uomo che promette la salvezza. Sempre. In ogni città, in ogni epoca, in ogni stadio. A Reggio Calabria quell’uomo si chiamò Luca Gallo, e si presentò come si presentano i condottieri da romanzo: abiti lucidi, frasi solenni, l’illusione cucita addosso come un vestito su misura. Disse “porterò la Reggina in Serie A”, e la città — affamata di sogni — gli credette. E come spesso accade quando si crede troppo, la delusione divenne cocente, feroce, persino tragica.

Ma facciamo ordine. Perché le storie vanno raccontate per intero, anche quando bruciano.

L’arrivo dell’uomo nuovo
Gallo arrivò nel 2019. Imprenditore romano, linguaggio teatrale, ingresso scenico. A Reggio non si vedeva tanto entusiasmo dai tempi di Lillo Foti, ma questa volta c’era qualcosa di più esibito, più moderno, più vorace. In poco tempo la Reggina passò dalla mediocrità ai riflettori: vinse, salì, illuse. La Serie B tornò come un premio al coraggio, ma nessun premio è eterno se poggia sul vuoto.

Sotto la superficie, i numeri scricchiolavano. Bilanci incerti, ritardi nei pagamenti, e un’eredità fiscale da incubo. La Guardia di Finanza non tardò ad arrivare.

L’inchiesta, il tonfo, il silenzio
Il 5 maggio 2022, la città si svegliò con una notizia che suonava come un’esplosione: arrestato il presidente della Reggina. Autoriciclaggio, omesso versamento IVA, sequestri per oltre undici milioni. E poi, ancora, un secondo procedimento per bancarotta fraudolenta, scritture contabili sparite, distrazione di beni. Un domino di accuse. Un impero che si sbriciola. Gallo, da padrone, diventava imputato.

Oggi è in attesa. I processi si trascinano nei corridoi della giustizia italiana, quella giustizia che cammina come una macchina antica, tra rinvii, carte, e udienze che non arrivano mai. Unica luce: l’assoluzione arrivata a giugno 2025 per la vicenda “Dalia”. Un’ombra in meno, ma non la fine del buio.

Una città divisa tra rimpianto e rabbia
A Reggio però il tempo scorre in modo diverso. L’oblio è rapido, la nostalgia ancora più veloce. Oggi, a distanza di tre anni dalla caduta di Gallo, il suo nome ricompare. Nei bar, sui social, perfino tra le curve. Non è un ritorno, ma un sussurro. E come ogni sussurro, divide.

Perché Gallo ha spaccato l’anima della città. C’è chi lo rivorrebbe senza esitazione, perché “almeno si parlava di Serie A e non di sopravvivenza”. C’è chi invece lo considera un corpo estraneo, una stagione da cancellare, un errore da non ripetere. In mezzo, la solita verità del calcio: chi vince ha sempre ragione, chi perde è sempre colpevole.

Nel calcio, come nella vita, è il risultato che converte le opinioni. Le sentenze morali non valgono nulla contro una promozione, una classifica, una gloria. E allora la domanda resta: Gallo avrà mai la possibilità di riscrivere la sua storia? O anche il suo nome si dissolverà — lentamente, silenziosamente — come neve al sole, in quest’estate tra le più calde di sempre?

Il ritorno del re o il replay di una farsa?
Tecnicamente, nulla vieta a Gallo di tornare. Le misure cautelari sono finite, l’inibizione sportiva anche. Giuridicamente, è un cittadino come gli altri. Ma nel calcio — quello vero, quello popolare, quello delle curve — conta di più la reputazione che la legge. E il ritorno di un uomo come lui sarebbe un terremoto. Un ritorno greco, da tragedia classica. Con i cori divisi, la stampa addosso, e il passato ancora caldo.

Ma Reggio è una città che ama chi osa, anche quando sbaglia. È una piazza che dimentica, che perdona, che a volte si illude di nuovo. E se c’è una certezza, è questa: qui niente è mai davvero finito. Né nel bene, né nel male.

La storia di Luca Gallo è ancora lì, aperta come un fascicolo giudiziario o una partita sospesa per nebbia. Non è il tribunale a decidere tutto. Spesso, lo fa lo stadio.

E forse, anche stavolta, sarà il Granillo a scrivere l’ultimo capitolo.

Non sono io che scrivo. È Reggio che detta e io trascrivo.

Luigi Palamara

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