L’arte di spararsi sui piedi ... per non dire altro
Editoriale di Luigi Palamara
È una malattia tutta italiana, e al Sud la conosciamo bene: il gusto malsano di preferire il meno peggio al meglio. È una forma di ignoranza raffinata, non quella che nasce dalla mancanza di libri, ma quella che cresce nel terriccio del complesso d’inferiorità. È lì che fioriscono le scelte sbagliate: quando il metro di giudizio non è la competenza, ma la paura del confronto.
Accade in politica più che altrove. Il centrosinistra calabrese ha un asso in mano, e invece di giocarlo con intelligenza si concentra a vedere le carte degli altri, come se il vero obiettivo fosse perdere bene piuttosto che vincere.
L’asso si chiama Giuseppe Falcomatà. Uno che ha governato la città più grande e bella della Calabria — e non lo dico io, lo dicono i numeri e lo dice la geografia. L’unica città metropolitana della regione, con i suoi 97 comuni sotto lo stesso ombrello amministrativo. Un contesto difficile, complicato, spesso ingovernabile. Eppure lui lo ha fatto.
Ma ecco la scena tipica: invece di puntare su chi ha dimostrato sul campo capacità e visione, si perde tempo a sottolineare le mancanze altrui. Perché? Per paura. Per il terrore che un leader vero oscuri i mediocri. Così, tra denigratori seriali e invidiosi di professione, si tenta di ridurre Falcomatà a un nome tra tanti. È una minoranza rumorosa, certo, ma il rumore spesso spaventa più del silenzio.
E qui non è in gioco soltanto il destino di un uomo. È in gioco la Calabria intera. Perché con Falcomatà si va a vincere; con un altro, si partecipa. E partecipare, quando si può vincere, è soltanto un altro modo per perdere.
La politica, in fondo, è come il calcio: conta chi segna, non chi si limita a palleggiare. E qui, se lasciamo l’attaccante in panchina per far giocare l’amico del portiere, non perdiamo per sfortuna. Perdiamo per cretinaggine.
Luigi Palamara Tutti i diritti riservati Reggio Calabria 10 agosto 2025
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