La penna non si piega all’intimidazione.

La penna non si piega all’intimidazione.

L'Editoriale di Luigi Palamara


Nella vita di chi scrive, arriva un momento in cui la penna diventa più pesante del piombo. Non perché manchino le parole, ma perché qualcun altro decide che quelle parole non devono più camminare. È allora che ti ritrovi a fissare un foglio, o il soffitto, o il cielo – poco importa – con lo stesso spaesamento di chi ha appena scoperto che il mondo non è quel luogo ragionevole che ci ostiniamo a immaginare, ma una selva dove il coraggio spesso serve più dell’inchiostro.

Mi domando quale febbre medievale attraversi ancora certe persone, sempre pronte a levare l’indice come un’arma impropria, a invocare ammonizioni e silenzi come fossero editti di qualche tribunale improvvisato. E per cosa? Perché scrivi. Perché osi trasformare pensieri in parole. Incredibile: basterebbe sfogliare un libro di storia per accorgersi che la censura non ha mai salvato nessuno, ma ha sempre ridotto l’uomo a un lumino tremolante in una stanza senza aria.

Eppure eccoci qui. Con quel senso di vuoto che toglie il fiato, quella nausea sottile, asciutta, che è la stessa dei giorni in cui ti accorgi che il mondo si è ristretto, come se qualcuno avesse tirato i confini della libertà fino a farli diventare corde. Ci sono attimi in cui lo sconforto ti monta addosso con la medesima prepotenza di un’onda scura, e ti chiedi perché. Perché tutta questa miseria d’animo? Perché la paura delle parole altrui?

La verità, forse, è che chi vuole zittire non teme ciò che dici, ma ciò che rappresenti: l’ostinazione di pensare con la tua testa. È un gesto che a molti appare sovversivo. A me sembra semplicemente umano.

Per fortuna esiste ancora la tenace resistenza degli affetti, la piccola trincea degli amici che ti ricordano che non sei solo, che qualcuno ti ascolta – e che proprio per questo devi continuare. Sono loro a rimetterti in piedi quando l’oscurità torna a farsi largo come una vecchia abitudine.

È dura, sì. Ma dura non significa impossibile.

La domanda resta: come si può essere così? Forse non lo sapremo mai. Forse non vale neppure la pena di capirlo. Quel che vale la pena, invece, è non smettere di scrivere. Perché se qualcuno ha paura delle tue parole, vuol dire che servono. E dove la parola serve, il silenzio non deve esistere.

Luigi Palamara
Giornalista
Reggio Calabria 9 dicembre 2025

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