Quando la dignità non faceva rumore: le donne calabresi e il Paese che abbiamo smarrito.

Quando la dignità non faceva rumore: le donne calabresi e il Paese che abbiamo smarrito.
L'Editoriale di Luigi Palamara


Eccole, le donne calabresi della fine degli anni Cinquanta. Non entravano in scena: c’erano già. Non chiedevano diritti perché avevano doveri. Non parlavano di emancipazione perché erano troppo occupate a emancipare gli altri: i figli, i mariti, spesso un Paese intero che non sapeva di dovere qualcosa a quelle mani screpolate.

Erano donne senza slogan e senza pubblico. Donne che non “si realizzavano”, ma realizzavano. Allevavano figli come si costruiscono case: mattone su mattone, senza architetti e senza applausi. Lavoravano, faticavano, sudavano. Sudore vero, non metaforico. Quello che brucia gli occhi e curva la schiena. Eppure stavano dritte, moralmente dritte, come solo chi non ha alternative sa stare.

Con poco – pochissimo – e con sacrifici che oggi chiameremmo disumani, hanno cresciuto famiglie e, senza saperlo, hanno dato all’Italia qualcosa che oggi manca come l’aria: dignità. Orgoglio silenzioso. Responsabilità. La consapevolezza che la vita non ti deve nulla, sei tu che devi qualcosa a lei.

Oggi di quel tempo e di quei valori resta poco, quasi nulla. Non si fanno più figli, si dice. Costano troppo. Forse. Ma forse costiamo troppo noi a noi stessi. Pretendiamo comfort, successo, gratificazioni immediate. Non abbiamo più voglia di sacrifici perché il sacrificio non fa audience.

Non ci si sacrifica più: ci si espone. Vogliamo tutto e subito. Tutti influencer, nessuno influente. Tutti visibili, pochi indispensabili. E poi scopriamo, con una sorpresa che rasenta l’ipocrisia, di non avere niente. Niente dentro.

Non abbiamo più voglia di imparare, né di migliorarci. Preferiamo prevaricare. Apparire. Essere fotografati invece che essere. È il trionfo dell’immagine sul contenuto, del rumore sulla sostanza. Un mondo in 8K, ma moralmente sfocato.

E allora quelle immagini in bianco e nero diventano devastanti. Non perché siano povere, ma perché sono vere. Raccontano vite che avevano un senso, una direzione, una fatica che non chiedeva giustificazioni. Non sono “nostalgiche”: sono accusatorie.

Viviamo un moderno Medioevo. Tanta luce fuori – schermi, riflettori, connessioni – e un buio fitto dentro le famiglie, dentro i cuori. Un mondo che scivola, che litiga, che va in guerra, spesso senza sapere nemmeno perché.

Quelle donne non lo sapevano, ma erano civili. Noi lo sappiamo, eppure sembriamo barbari.

Luigi Palamara
Artista e Giornalista Aspromontàno

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